Morningstar, il nuovo viaggio di Alex Cortez tra introspezione e rinascita

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Morningstar è il punto di incontro tra la maturità e la vulnerabilità di Alex Cortez, un disco che mette a nudo l’uomo dietro l’artista e riflette su ciò che significa restare sé stessi in un mondo in continuo mutamento. Dopo oltre dieci anni lontano dalle scene, Cortez torna con un lavoro che parla di accettazione, contraddizioni e rinascita, filtrando ogni esperienza attraverso la lente della consapevolezza. In Morningstar, il rapper trevigiano racconta il proprio percorso di crescita con uno stile che unisce autenticità e introspezione, alternando momenti di riflessione e lampi di ironia. Dai ricordi del quartiere di San Liberale alla spiritualità che attraversa i testi, fino alla consapevolezza che la fragilità non è un difetto ma un motore umano, Cortez costruisce un racconto coerente, profondo e necessario. Abbiamo parlato con lui di fallimenti e sogni, di filosofia e boom bap, di quella costante tensione tra luce e buio che dà forma a Morningstar — e, in fondo, a ciascuno di noi.

In Morningstar parli di fallimenti, sogni, contraddizioni. C’è un messaggio preciso che vuoi lanciare a chi ti ascolta oggi?
Si ti direi che se c’è un denominatore comune a questi temi è sicuramente l’accettazione. Questa accettazione deve partire sicuramente da te stesso/a e non per forza venire dall’esterno. Utopicamente se tutti accettassero fallimenti, sogni e contraddizioni degli altri non ci sarebbero poi così tante frizioni ma questo presuppone che ci sia la volontà di ascoltare e capire gli altri senza giudicare. Sarebbe tutto molto bello ma in una società così individualista come quella di oggi posso capire sia molto difficile. Prendi il fallimento ad esempio, è diventato una delle paure più grandi, una vergogna. Una cosa così negativa che porta a strade e decisioni altrettanto buie a volte. Se ci accettassimo nei nostri limiti e nelle nostre contraddizioni non sarebbe così pesante.

Cosa rappresenta per te accettare la propria natura contraddittoria?
Come ti dicevo per me è accettarsi è ascoltarsi senza giudicare. Accettare che i motivi di una contraddizione sono molto più umani di quello che pensiamo e non dobbiamo demonizzarci. Viviamo di sentimenti spesso agli antipodi, di forze, energie e pulsioni che non possiamo sempre controllare e che possono sfociare in contraddizioni. Se proviamo ad accettarle con serenità scavando sul perché succedono allora non solo potremmo vivere meglio ma anche capirci di più.

Oggi si parla molto di autenticità nel rap. Pensi che un artista debba raccontare solo ciò che vive in prima persona?
Secondo me un artista deve raccontare. Non necessariamente in prima persona ma sicuramente quello che racconta deve contenere la sua personale analisi, le sue idee e le sue riflessioni. In un pezzo come “Non un finale” non parlo di me tuttavia racconto una storia in prima persona come fossi io a viverla e cercando di far vivere quella situazione proprio attraverso i miei occhi. Credo sia fondamentale la firma dell’artista anche se non davvero presente in quello che scrive/racconta.

In Lacrime, Sorrisi e Rughe racconti Treviso in tre fasi della tua vita. Quanto è cambiata la città e quanto sei cambiato tu?
La città che mi ha dato i Natali (Treviso) è cambiata molto, lo vedo ogni volta che ci torno pur non vivendo molto lontano. Il quartiere di San Liberale è cambiato con lei ed essendo da sempre una lottizzazione popolare nella prima periferia nata moltissimi anni fa ha sicuramente avuto modo di subire dei cambiamenti ancora più veloci. Le persone erano molto più comunità quand’ero bambino e vivevo lì ora, come in tutto il mondo, l’individualismo impera e quel senso di abbraccio è sicuramente diverso. Sono cambiato anche io. L’ingenuità che avevo da ragazzino adolescente ha lasciato spazio ad una consapevolezza adulta che tende a spiegare in modo razionale o quasi ciò che vive e che vede. Per me quel quartiere, anche se ormai non conosco quasi nessuno e la mia famiglia vive altrove, rimarrà per sempre casa. Quando ci passo mi sembra perfino di conoscere gli odori, è pazzesco!

Ci sono riferimenti alla spiritualità e alla filosofia nei tuoi testi. Ti consideri un artista intellettuale?
No, non mi considero intellettuale. Spesso sono gli altri a dirlo. Leggo molto, mi piacciono cose molto profonde dal punto di vista artistico e culturale. Adoro leggere libri di filosofia o che parlano di filosofia oppure di arte, sono anche appassionato di cinema tuttavia cerco sempre di inserire nei miei testi queste cose nel modo più semplice e diretto possibile, non vorrei sembrare un artista intellettuale ma una persona che ha il suo background culturale e sa come inserirlo in ogni contesto.

Quale differenza principale vedi tra il rap italiano dei primi 2000 e quello di oggi?
Solo una ma sostanziale: ora il rap è completamente sdoganato ed accettato, qualsiasi esso sia. Lo trovi in classifica, ci sono eventi o dj set. Nel 2000 era molto difficile vivere questa situazione. Oggi è quasi socialmente accettato tutto, intendo anche negli outfit che richiamano a quel tipo di movimento culturale. Si trovano poi dischi rap in radio, vinili nei negozi, ci sono mega eventi che riempiono stadi che hanno rapper o gruppi rap come protagonisti. Credo che se nel 2000 ce l’avessero detto saremmo stati piuttosto increduli, eppure… eccoci nel 2025!

Qual è la tua traccia preferita del disco e perché?
Allora, non voglio essere banale e dire “Incompleta” anche se devo ammettere che è la mia preferita davvero visto che è stata l’inizio di questo viaggio ed un modo per me di parlare di una cosa che mi ha fatto soffrire molto, ovvero la perdita di un mio carissimo amico.
Tuttavia io amo un sacco “Sole e pioggia” perché l’ho scritta in un momento in cui non sentivo grande fiducia in niente però pensando che un cambiamento è sempre possibile e le situazioni negative non rimangono sempre negative, si possono superare se ci crediamo. Poi Flesha ci ha messo su una strofa incredibile e BOOM! Il risultato finale mi ha davvero soddisfatto.

Se potessi parlare con l’Alex Cortez del 1999, cosa gli diresti?
Gli direi che deve sconfiggere la sindrome dell’impostore, di credere in quello che sta costruendo e di rimanere sempre incollato a quella semplicità quasi ingenua che da sempre fa parte di lui, anche quando si faranno avanti ostacoli, difficoltà e persone che in qualsiasi modo vogliono buttarlo giù. Credo che i puri di cuore alla fine vincano sempre. Nonostante tutto.

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