Ogni lettore di Moodmagazine che si rispetti dovrebbe sapere che da qualche mese i De La Soul hanno caricato tutto il loro materiale storico – in pratica i dischi dall’89 al 2001 – sulle piattaforme di streaming. Se poi dello streaming non vi frega niente meglio ancora, forse siete abbastanza old school da interessarvi al fatto che la prima canzone di un certo peso della band, la leggendaria “The Magic Number”, sia quasi una cover, di un brano omonimo che aveva naturalmente un testo in larga parte diverso (refrain identico però) e soprattutto che usciva precisamente mezzo secolo fa. Non in radio o nei negozi di dischi, bensì alla tv americana dei ragazzi. Era il 6 gennaio del 1973, un sabato mattina, i ragazzi erano a casa da scuola e la ABC trasmise (immagino per guastar loro il fine settimana…) la prima puntata di Schoolhouse Rock!, serie di cartoni animati “educazionali” che sarebbe andata avanti, a cadenza settimanale, per una dozzina d’anni, con una ripresa anche per tutti gli anni ’90. Uno dei programmi più iconici della tv statunitense, insomma, con il quale sono cresciute generazioni di bambini che oggi oscillano tra i 40 e i 60 anni.
E a rendere ancor più particolare una cosa già discretamente unica come Schoolhouse Rock! è che la prima materia approfondita non fu né la Storia né l’Educazione Civica, ma la fredda e impervia Matematica. Precisamente la tabellina del 3, dalla quale si partì perché il figlio del produttore televisivo David McCall proprio non voleva saperne di impararla, mentre con i testi dei Rolling Stones la sua memoria era fulminea. Così, dato che conosceva un cantautore versatile abbastanza da poter scrivere un brano anche su una cosa francamente assurda come la tabellina del 3, McCall gli domandò di lavorarci. E il risultato fu Three Is a Magic Number. La cosa poteva anche finire lì, non fosse stato per l’illustratore Tom Yohe, che la ascoltò per caso, trovandola così geniale da decidere di animarla con i suoi disegni. Da qui prese forma il progetto di un’intera serie animata educativa, sostenuto con entusiasmo fanatico da Michael Eisner, che a quel tempo era un quadro della ABC ma dieci anni più tardi (e per oltre un ventennio) avrebbe diretto la Disney, non so se mi spiego. Praticamente vi ho già detto tutto, meno chi fosse l’autore e cantante della “Three Is a Magic Number” originale. Si chiamava Bob Dorough, nel ’73 aveva già 50 anni ed era un bianchissimo cantante e pianista jazz. E, attenzione, mica del jazz che forse immaginate voi, pensando magari a un disco pioniere del rap come Pieces of a Man di Gil Scott-Heron, che nel 1971 nacque anche grazie al contribuito di un protagonista dell’avanguardia jazz come il bassista Ron Carter.
No no, Bob Dorough era uno che faceva roba vecchia e canzonette. Ma è sempre stato uno spirito creativo, al punto di irretire anche un tipetto non proprio facile agli entusiasmi come Miles Davis, che lo scritturò come paroliere e cantante (probabilmente il solo uomo che abbia mai cantato in un disco di Davis, ri-non so se mi spiego) in “Blue Xmas”, brano natalizio che venne commissionato al grande trombettista dalla Columbia nel ’62. Ad ogni modo, Bob Dorough di convenzionale nella sua carriera ha fatto ben poco. Suonava nei jazz club newyorkesi all’alba degli anni ’50, in attesa di laurearsi, e per un breve periodo fu il pianista di Sugar Ray Robinson, straordinario pugile che nel ’52 si ritirò dal ring per intraprendere una carriera musicale dagli esiti prevedibili (infatti rimise i guantoni nel ’54), aprendo a Dorough la strada per la Francia, dove fece per un po’ di tempo il direttore musicale di un progetto imperniato intorno a Blossom Dearie, una delle più originali cantanti jazz dell’epoca (anche pianista notevole, tra l’altro). Rientrato negli States, Dorough incise nel ’56 l’album Devil May Care, un piccolo capolavoro di stranito jazz vocale, cantato con un delicato stile scat e una voce dalle inclinazioni femminili, eccentrico quanto basta e timbricamente non distante dal cool jazz dell’epoca (il contrappunto tra pianoforte e vibrafono è tutt’altro che banale); decisamente unico e piuttosto memorabile, insomma, ancorché si tratti comunque di un culto per pochi.
Negli anni ’60 Dorough incide una mezza manciata di album sostanzialmente cantautorali (con qualche cover, la componente jazz appena un po’ lisciata e un riconoscibile piglio da folletto), avvia un folle ma rigoroso progetto di jazz medievale, collabora con il predetto Miles Davis, ma anche con il dissacrante comico Lenny Bruce e con il poeta guru della controcultura Allen Ginsberg, per il quale si ritrova ad arrangiare l’esperimento Songs of Innocence and Experience, adattamento musicale dei versi di William Blake e dello stesso Ginsberg; un disco che non sarà passato alla Storia per la sua bellezza ma che ha permesso al nostro uomo di dirigere un nutrito gruppo di eminenze del jazz e dell’avanguardia, da Don Cherry a Elvin Jones, con un giovanissimo Arthur Russell al violoncello. E poi, con “Three Is a Magic Number” Bob Dorough si è guadagnato un posto nel romanzo ancora non scritto delle origini stilistiche più remote del rap (non dell’hip-hop, è bene precisarlo, perché con quella più ampia sottocultura il pur curioso e apertissimo Bob Dorough non ha nulla da spartire). Nella versione originale di “Three Is a Magic Number”, al di là della cadenza canora che è assolutamente preveggente su quanto il rap avrebbe codificato poi, passando dalla leggiadria scat ancora percepibile in Dorough a una forma molto più perentoria e conscious di cantato declamatorio su precise barre metriche, stupisce anche il ricorso alla matematica come tema portante. Non solo il rap è una musica che sulla decostruzione matematica del ritmo ha investito una parte fondamentale del suo potenziale creativo, ma la disinvoltura con la quale Dorough – soprattutto come paroliere – canta le tabelline del 3 rendendole orecchiabili e quasi quasi ballabili ha dell’incredibile. Tant’è che una delle band più originali degli anni ’90, i Soul Coughing, nella loro geniale ricombinazione di elementi vari presi soprattutto dal jazz e dal rap hanno citato le intuizioni di Dorough facendone l’asse portante di una loro canzone e provando a replicarne il metodo in un’altra. Mi riferisco in primo luogo a Casiotone Nation, che include la tabellina del 5 mutuandola di peso dal brano di Dorough “Ready Or Not, Here I Come”, mentre sul secondo album i Soul Coughing alzano la posta incidendo “4 out of 5”, che prova a superare la rigidità delle tabelline scodinzolando con le parole sulle possibilità di due numeri diversi, il 4 e il 5. Il ritornello recita: “Four and five, therefore nine / Nine and nine, therefore eighteen / Eighteen and eighteen, therefore thirty-six / Four and five, therefore nine”.
In effetti non vi ho detto che Bob Dorough non limitò l’esperimento della tabellinizzazione delle canzoni alla sola “Three Is a Magic Number”, perché l’idea di Schoolhouse Rock! era quella di dedicare una puntata ad ogni numero. Nacque così, nello stesso 1973 del lancio della serie animata di cui è colonna sonora, l’album Multiplication Rock, quasi interamente attribuibile a Bob Dorough e con canzoni dedicate alle tabelline di tutti i numeri dallo 0 al 12, a parte l’1 e il 10. Che sono così banali da non aver bisogno di un genio musicale per impararle a memoria.