Mirko Claudio, meglio conosciuto come Dj Argento, nasce a Bari nel 1978, e si avvicina alla pratica del Djing nel 1990 circa. Negli anni di esperienza come Dj e Beatmaker crea una grande connessione con diversi rapper romani e del resto d’Italia, firmando musiche per Colle der Fomento, Kiave, Turi, Gente de Borgata, Kaos, Lord Bean e moltissimi altri. Ma solo più avanti entra in contatto con il rap vernacolare della sua terra d’origine, la Puglia. I rapper sono Tecà, Marcialledda e Torbi, l’album ha un titolo volutamente criptico: !#%&$!!!.
Come prima cosa vorrei sapere, come leggeresti il nome del disco?
Il titolo del disco è volutamente criptico proprio perché non abbiamo voluto dare un nome al disco, quel titolo non rappresenta una parolaccia ma uno stato d’animo che va un po’ contro quello che stiamo vivendo in questo momento. Può essere una parolaccia ma può essere anche un pensiero controcorrente rispetto la massa, una censura o un modo per esprimere il proprio disappunto. Il non poter dire ciò che si pensa, per esempio sui social, dovuto da questo buonismo generale, così in un attimo finisci per non dire niente. Preferisco esprimermi quasi non facendomi capire o non facendo capire totalmente il senso di quello che sto dicendo. Poi se pensiamo al bambino con la mascherina raffigurato in copertina, a me arriva ancora di più il significato.
Sì, diciamo che avete trovato il modo per trasmettere il vostro dissenso senza affermarlo palesemente e senza metterlo per iscritto. La censura é bastata per rappresentare ciò che volevate.
SI, che poi è anche un po’ contraddittorio, perché il rap si basa sull’esprimersi su determinati argomenti. E quando poi su determinati argomenti un disco rap è censurato, si ha quasi una contraddizione. Da un lato si vorrebbero esprimere delle cose mentre dall’altro lato c’è una sorta di censura che non arriva soltanto dai media ma anche dalle persone. Ormai con la libertà di espressione che hanno tutti, siamo arrivati al paradosso che forse nessuno ha più la possibilità di esprimersi liberamente.
Da quando ascolto rap la direzione del genere è cambiata molto, i rapper erano molto più diretti, ed era molto meno un problema esserlo. Ora dopo un periodo di censure varie, sono spesso gli artisti stessi ad autocensurarsi. Secondo te questa direzione che è stata presa dal rap è giusta o potrebbe far allontanare troppo il genere da quella che è la sua essenza?
Afrika Bambaataa diceva: “fin quando la gente parlerà, esisterà il rap”, quindi nel momento stesso in cui i rapper smetteranno di dire determinate cose, anche le più scomode, sarà la fine di quella che dovrebbe essere l’essenza più pura del rap. Fondamentalmente credo che la scena attuale abbia un’ipocrisia di fondo. E non tutti ovviamente, magari quelli che sono più sotto i riflettori.
I dischi di 20 anni fa sono rimasti delle pietre miliari perché hanno riportato alle orecchie delle persone cose che nessuno aveva il coraggio di dire. Ora invece siamo tornati al problema di prima, corriamo dei rischi se sconfiniamo. Probabilmente è anche il motivo per il quale ci siamo un po’ standardizzati musicalmente.
Tornando al disco vero e proprio. Come mai hai scelto di far uscire un EP e non un disco intero? Stai già lavorando ad altro e questo era soltanto un assaggio e volevi proprio fosse un lavoro preso e chiuso così?
Questo è praticamente il seguito di un altro EP uscito in piena pandemia, che si chiamava Identità e Oscurità, uscito con gli stessi membri di questo mini-collettivo. In realtà era più l’esigenza di fare qualcosa in un periodo in cui non potevamo fare niente.
Io avevo un bel beat e degli amici di vecchissima data con cui non avevo mai fatto nulla, così abbiamo deciso di provare a fare qualcosa, proprio per dargli un seguito e non lasciare tracce campate in aria su Spotify. Ora un album necessita di un’attenzione che non ti regala più nessuno, quindi abbiamo preferito fare un album di pochi pezzi, ma tutti con una qualità maggiore. Tra l’altro ora si punta molto sui singoli, se funzionano fai uscire il disco collegato per fargli fare da traino, un po’ come con i 45 giri negli anni ‘50. James Brown è stato un maestro in questo. Fare un disco è molto faticoso, se solo consideri che per Argento ci ho messo quasi quattro anni, e nel mentre è successo di tutto.
Una cosa che mi ha colpito molto sono state le collaborazioni con Teca, Marcialledda e Torbi. Come mai i tuoi primi legami con il rap sono stati a Roma e non con loro, che sono tuoi conterranei?Come ti spiegavo, il rap in vernacolare l’ho scoperto da poco e non sono mai stato un grande fan, perchè purtroppo è sempre stato visto, dall’esterno, come fosse un fenomeno da baraccone, quelli che ti propinano la taranta e la cima di rapa in versione rap, e per me il linguaggio è fondamentale ed infatti pensavo che il dialetto levasse forza alla lingua italiana che è piena di sfumature. In realtà poi ho scoperto che non è così e che anche il dialetto è pieno di sfumature ed è un grande privilegio.
A loro quindi ho detto: “Dovete fare una cosa in dialetto ma così stretta che deve sembrare americano”. Ogni volta che ascolto Shaone, che poi è sul disco, impazzisco per la fonetica del suo rap, ed è prevalentemente in vernacolare, perchè rappa in napoletano. Mi viene la pelle d’oca, sembra americano, era una vita che desideravo lavorare con lui anche se lo conosco dagli anni ‘90.
Così è nato il mio rapporto con il vernacolare.
L’EP è stato lanciato con il video di “Vino”. L’ho trovato molto particolare, perchè con quei featuring e quella produzione non mi sarei mai aspettato un video ambientato nell‘800. Come è nata l’idea del video girato dallo stesso Tecà?
Nasce da un’idea di Tecà. Se ci fai caso i commensali, in ogni strofa, hanno un approccio diverso. Nella prima mangiano in maniera consona rispetto al loro rango sociale, mentre se guardi l’ultima strofa mangiano come fossero impazziti. La tavola imbandita rappresenta la vita e questo rappresenta anche il volersi cibare compulsivamente anche se magari le cose che stai mangiando ti potrebbero portare alla follia. O anche il fatto che ogni giorno può essere l’ultimo giorno, che è anche il significato della canzone di Piero Ciampi, cioè che la vita ti porta anche a cose brutte ma nonostante questo va celebrata e va apprezzata. Poi tutti hanno fatto delle strofe veramente belle, e in italiano, poiché in questo caso il messaggio doveva arrivare diretto e chiaro.
Partendo dall’esempio di “Vino”, in cui usi una canzone di Piero Ciampi, quanto è importante per un artista, prendere spunto ed ispirazioni da altri generi?
Nel caso specifico è stato fondamentale attingere poiché la citazione andava a sottolineare il senso e ci aiutava a farlo capire. Però, tendenzialmente, mi piace tantissimo attingere da altri generi soprattutto nel rap. Io ascolto tutto fuorché rap. Ne ascolto pochissimo e a dire la verità ultimamente per niente. Sostanzialmente una volta trovata la tua attitudine ed il tuo gusto, è meglio non farsi influenzare troppo dalle tendenze. Non faccio musica per identificarmi in un determinato periodo musicale, ma tutt’altro, la faccio per una mia esigenza personale. Non esiste che quest’anno va la 808, per me la 808 va dal 1983, da quando l’hanno inventata.
Camilleri diceva “Non si può essere contemporanei per sempre”, ci sarà un punto in cui tu rappresenti un periodo ed un punto in cui rappresenti sempre quel periodo ma all’interno di un altro.
Comunque, tornando ai miei ascolti, posso dirti che ascolto metal, jazz, funk ed anche musica elettronica. Posso prendere spunto ma non mi faccio influenzare troppo. Musicalmente spazio tantissimo, ascolto veramente qualsiasi genere, che sia latin, reggae, rock, country, qualsiasi genere ti venga in mente, anche canzoni folkloristiche giapponesi o marce funebri pugliesi. Se mi trasmette qualcosa e mi da un ricordo va bene.
Tu dai anche molta importanza all’interludio o skit in un disco…
Eh si, soprattutto quando hai dischi così corti, ogni traccia ha il suo significato e la sua importanza. Essendo tre tracce molto dure, sempre in crescendo, ho pensato che dopo le prime tre tracce avremmo dovuto decomprimere per poi mettere la versione di Ice One. Mi era particolarmente piaciuto quel sample giapponese e l’ho inserito con un Breakbeat.
Gli altri featuring sul disco sono No Fang, Zazza e Nicaleo. Cosa puoi dirci su di loro?
Sono ragazzi che ho conosciuto ad un live dove ero andato con Don Diego e Kiave, ed avevo collaborato con loro facendo il mastering di un disco. Mi è piaciuta l’idea di metterli all’interno del lavoro, rappresentando anche la parte più alta della Puglia, e parlando anche di un tema molto importante di questo periodo storico, in cui il governo ci spingeva ad autodenunciarci gli uni con gli altri.