Subcult. è il nome che Avex e Ni_so hanno dato al loro disco, una fusion di classic HipHop nata a Bologna che vanta sfumature soul, jazz e afrobeat. Il rapper Avex, vissuto fino ai 20 anni ad Addis Abeba in Etiopia frequentando la scuola Italiana, e il produttore Marchigiano Ni_so, hanno dato vita a un progetto davvero interessante incontrandosi in una delle città più multiculturali di Italia. In questa intervista ho cercato di capire i background dei diversi artisti, come sono arrivati a Bologna e come hanno fatto a incontrarsi. Subcult. è davvero un bel disco. E sono orgogliosa che nasca a Bologna, nella mia città. Una fusion perfetta, che meriterebbe spazio non solo per la qualità della delivery, ma, considerando il momento storico che viviamo, anche per tutti i messaggi indiretti che trasmette.
Come è nato Subcult.?
È iniziato tutto verso fine 2020. Un nostro amico in comune, Anthony ‘Boogie’ Chima, ha avuto l’intuizione di metterci in contatto e così ci siamo visti una prima volta per una bevuta, senza neanche avere in mente progetti particolari. Per caso, in quell’occasione abbiamo sentito insieme la strumentale di “Chills”, prima traccia dell’EP che al tempo già esisteva come strumentale, e non è servito aggiungere altro. Di lì a poco eravamo in studio a registrare le prime parti del progetto.
Come mai avete chiamato il progetto in questo modo?
Durante le varie sessioni in studio, ci siamo fermati molte volte a chiacchierare, tra una pausa e l’altra. Una cosa in comune che è venuta fuori dai nostri scambi, è stata la nostra frustrazione nel vedere come la musica che ci piace di più, quella che rispettivamente ascoltiamo di più, e la musica che vogliamo fare, sia costantemente etichettata come sottoprodotto culturale dai canali mainstream, specialmente in Italia. Per noi ovviamente non è così, anzi: è una parte portante delle nostre rispettive culture e backgrounds. Da qui il nome Subcult., un po’ come una provocazione della serie: “voi normalmente etichettereste questo progetto come una sotto-cosa, cosa che per noi però non è affatto”.
Io sono di Bologna e vivo in UK. Una fusion come la vostra, con così tante sfumature e sapori, qui è la normalità. In Italia ancora fa scalpore. Quanto vi da Bologna dal punto di vista umano e artistico?
Bologna dà molto, culturalmente e umanamente, anche se a dire il vero anche qui la scena tende a polarizzarsi, sia nell’underground che nel mainstream, con meno spazio di quello che si pensa per crossovers, contaminazioni, fusioni. Detto ciò, la città respira musica e brulica di gente che, specialmente in questo periodo, vuole mettersi in gioco, e dobbiamo molto alla scena locale.
Come avete lavorato al disco?
Molte delle strumentali erano già pronte come idee per un disco. Una buona parte del lavoro è stata sfogliarle insieme e scegliere quelle che più ci convincevano sviluppando delle idee. Le collaborazioni nel disco invece sono frutto di amicizie che abbiamo voluto coinvolgere e portare in studio. Tutto è stato molto fluido e le collaborazioni dell’EP hanno preso forma quasi da sé.
Ni_so, tu sei di Pesaro se non sbaglio? Mi dici qualcosa di te?
Tecnicamente sono di Fano anche se nella fattispecie casa mia è esattamente a metà tra Fano e Pesaro. Sono cresciuto suonando la batteria e mi sono fatto gli anni del liceo tra svariate band liceali belle agguerrite, in seguito ho cambiato decisamente ascolti e mi sono dedicato al djing, prima, e alle produzioni, poi. A Bologna ci sono arrivato nel 2018 per diversi motivi, un po’ perché volevo avvicinarmi alla mia ragazza, un po’ perché ero rientrato da diversi anni all’estero e cercavo un posto in Italia nuovo, dove fare esperienze e conoscere nuove persone. Così è stato.
Stai producendo anche per altri progetti?
Sì, attualmente ho le mani su diverso materiale, principalmente mio perché si tratta di progetti strumentali.
Avex, come è stato vivere in Etiopia per vent’anni per poi tornare qui?
Crescendo in un paese culturalmente molto diverso dall’Italia, sia per usi e costumi, sia per stile di vita e mentalità e studiando al contempo nell’unica scuola italiana presente, ho imparato a bilanciare le due culture. Tuttavia, vivevo in una sorta di bolla sociale che, in un certo senso, mi distaccava da entrambe, dovuta anche al fatto che essendo un ibrido non venivo pienamente accettato da chi avevo intorno. Tutto ciò mi ha però permesso di ragionare differentemente da chi, conoscendo una sola lingua o cultura, non è in grado di distaccarsi dal proprio pensiero per il semplice fatto di non avere metro di paragone. Sono riuscito a bilanciare queste due culture e soprattutto ho avuto una famiglia mentalmente multiculturale, diciamo: tutta la mia famiglia parla italiano perché l’ha imparato in Italia. Essendo poi la prima lingua che ho parlato, si può dire che sono madrelingua, nonostante conoscessi l’amarico, che è la lingua nativa etiope. Sono sempre stato a contatto con l’Italia a distanza, la maggioranza dei miei professori erano italiani, avevo compagni etiopi come me, o italiani o meticci, era come stare in Italia – ma non proprio – perché comunque eravamo in Etiopia ad Addis Abeba a prescindere da tutto! Ed a scuola, tra di noi, eravamo normali, in quanto quella era la nostra realtà, ma fuori dalla scuola eravamo malfamati, visti come i fighetti, quelli strani che parlano un miscuglio di lingue che nessuno riesce a comprendere. Eravamo percepiti come un’élite, ragazzi che vanno alla scuola italiana, pagando un’enorme cifra di soldi ed allo stesso tempo eravamo percepiti come i vagabondi, come i ribelli trasgressivi perché magari a fine lezioni fumavamo una sigaretta. Andavamo contro un concetto di tabù molto diverso da quello che ci potrebbe essere qui in Italia.
Ti sei avvicinato all’Hip Hop ad Addis Abeba? Esiste una scena la?
Sì, esiste una scena hip hop in Etiopia, io per esempio a 17 anni ho iniziato per la prima volta a fare freestyle e a scrivere le mie prime canzoni in inglese. Nel 2014 già frequentavo la Jungle Crew e un anno dopo abbiamo fatto uscire su YouTube un cypher intitolato “2015 Ethio Cypher” dedicato alla nuova scena rap etiope. (N.d.r. Mi sento di condividere il link del pezzo in questa intervista. Non mi interessa se per molti non ha senso.)
Ragazzi state già pensando a un piccolo tour?
Stiamo lavorando su qualche data, purtroppo però non partiremo subito con un tour consistente perché entrambi siamo rispettivamente piuttosto presi dai nostri lavori diurni e da altri progetti musicali. Ma ci stiamo lavorando, stay tuned.