Il 21 febbraio scorso è uscito il nuovo singolo di Faser, dal titolo provocatorio “Lacanzonepiùtristedisempre”, un brano che cattura immediatamente l’ascoltatore con il suo carico emotivo e la sua intensità. In questa canzone, Faser esplora il senso di oppressione e la frustrazione che pervade la società contemporanea, un disagio espresso attraverso un linguaggio diretto e crudo. Ma questo singolo è solo un assaggio del suo prossimo lavoro, Villain, il nuovo album che uscirà il 14 marzo 2025, e che promette di essere un’esperienza sonora e tematica ancora più profonda e complessa. Villain non si presenta come un disco che offre facili consolazioni, ma piuttosto come un viaggio dentro un labirinto di disillusione, rabbia e nichilismo, dove l’artista racconta senza filtri un mondo che sembra sfaldarsi sotto i nostri occhi. In questa intervista, Faser ci parla del suo approccio alla musica, delle sue influenze, e di come l’arte, per lui, rappresenti una forma di sfogo e un modo per reagire alla realtà. Dal suo amore per il cinema e la cronaca nera, che si riflettono nelle sue produzioni, alla sua visione di una Milano gotica e opprimente.
Il tuo ultimo singolo ha un titolo forte “Lacanzonepiùtristedisempre”. Cosa rappresenta per te questa canzone?
“Lacanzonepiùtristedisempre” è uno dei pezzi più rappresentativi dell’album, vuole trasmettere un senso di instabilità, oppressione e immobilità. È come avere costantemente la percezione di qualcosa di soffocante all’esterno, come se, nonostante ogni tentativo di cambiamento, si restasse sempre nello stesso punto. Nel brano ci sono anche diversi riferimenti alle criticità della società, a ciò che non funziona e genera frustrazione, un disagio che a volte viene espresso con durezza e rabbia.
Hai infatti detto che il brano smaschera la felicità apparente. È un tema autobiografico che hai vissuto sulla tua pelle?
Sì, è qualcosa che vivo sulla mia pelle, ma soprattutto è una sensazione che percepisco attorno a me. Mi sembra che oggi ci sia una sorta di facciata, un fingere che tutto vada bene, quando in realtà avverto il contrario. Sento una distruzione lenta ma costante, e questa cosa mi colpisce molto anche a livello empatico. Diciamo che è un pò anche il significato generale del disco, Villain, che si lega proprio a questo. Mi piace pensare al Villain dei fumetti, che si trasforma dopo aver subito ingiustizie. In un certo senso, questa “cattiveria” è solo una reazione al contesto che ci circonda, un modo per esprimere la frustrazione verso un mondo che sembra sgretolarsi sotto i nostri occhi.
A proposito del tuo prossimo album Villain, puoi anticiparci qualcosa?
Posso dirti che sarà un album intenso, più che per il sound, per le tematiche. Non ci sono tracce che offrono una visione più leggera, tutto rientra in un’atmosfera distopica, nichilista e, in un certo senso, anche rabbiosa. Non voglio dire che sia ripetitivo, perché ogni traccia ha la sua identità, ma il filo conduttore è un senso di disillusione e frustrazione verso tutto ciò che ci circonda. È un po’ come trovarsi in un labirinto da cui non si può uscire, chiedendosi: “Davvero tutto questo è diventato la nostra normalità?”
Nel tuo album troviamo collaborazioni con produttori come Goss Vinyard, con cui hai ormai un lungo percorso di lavoro insieme, e un giovane produttore, Gin Tony. Come è nata la collaborazione con lui e cosa ti ha più colpito del suo sound?
Con Goss Vinyard ormai è una collaborazione consolidata: lavoriamo insieme dal 2019-2020, abbiamo fatto il nostro primo lavoro assieme e, da allora, è diventato il mio produttore principale e ufficiale. Gin Tony, invece, è un giovane produttore che ho conosciuto l’anno scorso e che ha partecipato a gran parte del disco. Mi sono trovato molto in sintonia con il suo sound, che è caratterizzato da sonorità industriali, quasi elettroniche ma sporche, che secondo me si adattavano perfettamente a rappresentare la realtà attuale, che è un po’ cruda e disincantata. Questa combinazione di suoni ha funzionato molto bene per il tipo di atmosfera che volevo trasmettere.
Invece, come sono stati i feedback sui tuoi ultimi pezzi? Come li ha percepiti il pubblico?
Chi già mi seguiva è stato molto contento, anche se non sorpreso, perché rientra nel mio stile. Più che altro, molti sono rimasti colpiti dalla qualità del prodotto, visto che è il mio primo disco ufficiale. Prima gestivo tutto autonomamente, mentre questa volta abbiamo lavorato con un team, e la differenza si sente.
Essendo un progetto molto introspettivo, non la classica canzone leggera e immediata, pensi che il pubblico sia pronto per un prodotto così forte?
Per chi non mi conosce e per una fascia d’età più giovane, certi temi possono risultare impegnativi, ma non direi “pesanti” nel senso classico. Non faccio un rap iper-ricercato con parole mai sentite prima, i testi parlano anche di strada e di esperienze che i ragazzi possono comprendere. Forse la vera difficoltà è che oggi l’attenzione è molto bassa, c’è una tendenza a seguire contenuti semplici e immediati. Il rap stesso si è un po’ semplificato a livello lirico. Di primo impatto il mio lavoro può sembrare più elaborato, un progetto che richiede più ascolti per essere apprezzato appieno. Ma, parlando con chi l’ha già ascoltato, ho notato che, quando si supera la prima impressione, il messaggio arriva forte e chiaro.
Parlando di collaborazioni, in “Crackhead” troviamo Axos. Hai detto che tu e Axos condividete una visione simile sulla musica. C’è un aspetto in particolare del suo approccio artistico che ti ispira o che senti abbia influenzato il tuo percorso?
Allora, di base oserei dire che sono quasi un fan di Axos, al di là del fatto che siamo amici da tantissimi anni, anche per questioni personali. Quindi, al di là della musica e del lavoro, quello per cui lo reputo uno dei migliori in Italia è proprio la scrittura. Ha un modo di descrivere la realtà in maniera cruda e quasi malata, e questo su di me ha un impatto molto forte. Non so bene come spiegarlo. Non voglio dire che mi ispiri direttamente a lui, ma molte volte è stato uno stimolo vedere come riesce a percepire ciò che lo circonda e a tradurlo in parole, anche attraverso la prosa e l’uso di figure retoriche, rendendo tangibile il suo dolore.
Lo scenario che racconti musicalmente è di una Milano gotica. Credi che questa città abbia un lato oscuro spesso sottovalutato?
Beh, credo che oggi questo aspetto sia stato messo sotto i riflettori. Forse prima era meno evidente, ma adesso ne parlano tutti: i problemi a Milano sono molteplici, e se ci mettessimo a elencarli non finiremmo più. Non lo vedo come un aspetto nascosto, anzi, per me è fondamentale parlarne. Se non lo fai, stai mentendo. Se non descrivi Milano per quello che è davvero—un posto soffocato dallo smog, dove spesso emerge solo il marcio—probabilmente non la vivi davvero, o forse non sei nemmeno di Milano. Chi la osserva dall’esterno può pensare che sia una città piena di opportunità e cose da fare, ed è vero, ma ha anche un lato oscuro che sta diventando sempre più evidente, quasi come se si stesse espandendo.
Ho visto anche il tuo video, molto bello tra l’altro! Mi ha ricordato un po’ lo stile di Tim Burton, richiama certe atmosfere particolari. Anche la tua musica ha un taglio molto noir, dark crime. Volevo chiederti quanto il cinema o i fatti di cronaca nera influenzano la tua scrittura?
Direi che il cinema ha un impatto forte, soprattutto a livello visivo. Influenza molto gli stimoli creativi, per questo tengo particolarmente alla parte video. Ad esempio, per il videoclip de “Lacanzonepiùtristedisempre”, ho scritto praticamente tutto io. Ti ringrazio per averlo notato. Sicuramente l’influenza cinematografica è molto presente nel mio lavoro. Per quanto riguarda la cronaca, soprattutto quella nera, direi che ha un impatto più a livello lirico. Nel disco ci sono diversi riferimenti a fatti realmente accaduti, perché inevitabilmente diventano fonte di ispirazione.
Ho ascoltato anche il tuo freestyle su Pacciani. Io sono una fan della cronaca nera, quindi mi piacciono molto questi riferimenti nei testi.
È interessante esplorare il lato oscuro delle persone e della società. Tralasciare la cronaca nera significherebbe ignorare un pezzo importante della nostra cultura: siamo tra i popoli più ossessionati dai casi mediatici. Sembra quasi che non vediamo l’ora che accada qualcosa per poterne parlare e analizzarlo nei minimi dettagli.
Come appunto hai detto tu, la tua musica sembra descrivere un mondo distopico, dove anche le buone intenzioni hanno vita breve. È una visione pessimista o solo realista?
Diciamo che la mia visione è più realista che pessimista, anzi, direi quasi obiettiva. Mi fa rabbia vedere qualsiasi cosa uscire in questo momento con un tono felice e spensierato, perché la trovo ipocrita e fuori luogo. Negli ultimi anni, e in particolare nell’ultimo, c’è stato un forte ritorno al pop e a canzonette leggere che, per me, in questo momento storico sono davvero assurde. Da un lato capisco che il pubblico possa avere bisogno di distrazione, di non pensare a niente, ma per gli artisti questa scelta assomiglia a un vero e proprio patto col diavolo: fingere che tutto vada bene significa, di fatto, svendersi.
Se dovessi descrivere Faser con una sola frase, quale sarebbe?
Madonna mia, domanda difficile! Così su due piedi direi vero e crudo. Sono due parole che riassumono bene la mia musica: diretta, senza mezzi termini, arrabbiata e intensa.