Un’idea esplosiva che fonde due città simbolo del rap italiano, Roma e Napoli, trasformandole nel teatro di un clash senza precedenti: War Bars. Non è solo una sfida tra rapper, ma un incontro di stili, una celebrazione delle differenze e della creatività urbana. Ogni episodio mette a confronto un artista romano e uno napoletano, che si sfidano su un beat comune, adattato per esaltare l’unicità di ciascuno. Un mix di tensione creativa e rispetto reciproco che spinge il rap italiano oltre i confini. Ad aprire le danze, due leggende, nonchè creatori del format: Ntò, storico membro dei Co’Sang, e Zinghero, simbolo del TruceKlan. Un debutto che promette scintille e autenticità. Con cadenza mensile, War Bars racconta l’orgoglio e l’essenza delle culture urbane di Roma e Napoli, offrendo una piattaforma per artisti di ogni generazione. Il primo episodio, uscito il 21 novembre alle 12:00, è già disponibile su YouTube e tutte le piattaforme digitali. Pronti a scoprire un nuovo capitolo del rap italiano?
Come è nata l’idea di War Bars? Ci raccontate il momento in cui avete deciso di creare questo format?
Zinghero: Questo format è nato quasi per caso, ma con un significato profondo. Io e Antonio ci conosciamo da anni e, come spesso accade, ci sono stati momenti di alti e bassi: abbiamo discusso, ci siamo allontanati, ma poi ci siamo chiariti. È stato un processo naturale, senza forzature, che ci ha permesso di ritrovare il dialogo e lo spirito di collaborazione di un tempo. Da quel chiarimento è nata l’idea. Inizialmente volevamo creare un’etichetta, un progetto che permettesse ad Antonio di produrre artisti emergenti a Napoli, offrendo loro un trampolino di lancio. Poi il concetto si è evoluto, ci siamo detti: ‘Perché non creare qualcosa di più grande? Qualcosa che vada oltre?’.
Così è nato War Bars, un format che si propone come un’alternativa ai classici portali o format del rap italiano, come Real Talk o Esse Magazine, ma con un taglio diverso. L’obiettivo è dare spazio sia ai giovani talenti, che spesso non riescono a ottenere la visibilità che meritano, sia agli artisti con più esperienza, che hanno ancora molto da dire. Abbiamo deciso di iniziare con Napoli e Roma, due città che rappresentano due realtà urbane ricchissime e piene di sfaccettature. Oltre al fatto che io sono nella Capitale e Antonio è a Napoli, questa scelta ci permette di costruire una connessione concreta tra due scene storiche e autentiche. Vogliamo rappresentare le loro radici, le differenze e le affinità, creando un ponte che sia pratico e artistico al tempo stesso.
War Bars non è solo una sfida, è un’occasione per far emergere il talento, raccontare storie e dipingere le realtà urbane in tutte le loro sfumature.
Ntò: Io e Mattia avevamo già collaborato in passato e ho sempre avuto molta stima per lui, non solo per la sua esperienza, ma anche per l’attenzione che riserva ai ragazzi che non hanno molte opportunità nel mondo della musica, aiutandoli a crescere. Questa è una delle ragioni che mi ha fatto sentire sicuro nel partire con lui per questo progetto. Quando abbiamo deciso di creare War Bars, ero certo che sarebbe stato un format curato nei minimi dettagli, perché lui è sempre sul pezzo, sia tecnicamente che organizzativamente. Sapevo che insieme avremmo portato a termine questa idea.
L’idea di War Bars non è nata per imitare format già esistenti come Real Talk, ma per creare qualcosa di diverso e autentico, che fosse espressione delle nostre città, volevamo qualcosa che fosse nostro, che rappresentasse realmente le due città e le rispettive realtà.
Secondo voi, cosa distingue in modo più evidente queste due realtà: il rap romano da quello napoletano?
Zinghero: Il rap napoletano, secondo me, è tra i più fighi in Italia. Il dialetto napoletano, con il suo slang e la sua musicalità naturale, rende tutto più fluido, più spontaneo, quasi un terreno fertile per creare. Al contrario, da romano, posso dire che lavorare col nostro dialetto è molto più complesso: farlo suonare bene richiede uno sforzo stilistico maggiore. Detto questo, c’è una differenza stilistica evidente tra le due scene. Il rap hardcore, per esempio, ha mosso i suoi primi passi proprio a Roma, nei tempi del Piotta, quando si raccontavano le realtà delle periferie. E su questo aspetto abbiamo trovato un punto d’incontro: sia io che Antonio siamo legati al racconto delle periferie e delle situazioni sociali che ne derivano. Nonostante le diversità, queste realtà urbane ci uniscono.
Ntò: Penso che ci siano molti punti in comune tra il rap romano e quello napoletano. Entrambe le città, anche nella comicità, presentano molte analogie. Certo, la lingua è una delle principali differenze, ma per quanto riguarda l’attitudine, le due realtà sono simili. Questo è uno degli aspetti che ci ha portato a scegliere di coinvolgere giovani rapper sia da Napoli che da Roma, proprio per comprendere meglio queste realtà e per metterle a confronto.
Quello che mi colpisce è che, nonostante le difficoltà, c’è un grande fermento in entrambe le città. In un momento in cui molte regioni sembrano mancare di stimoli, Napoli e Roma continuano a pulsare di vita, con nuove generazioni che si fanno strada. Abbiamo visto artisti come Geolier a Napoli, ma anche a Roma c’è una scena che sta crescendo. A mio avviso, ciò che distingue i rapper di queste due metropoli è la passione e la determinazione che mettono nel loro lavoro. Entrambe le città hanno problematiche simili, soprattutto nelle periferie, dove la realtà sociale è spesso dura. La differenza sta nel fatto che la periferia romana è molto più estesa rispetto a quella napoletana. A Roma, ad esempio, trovi realtà come Tor Bella Monaca, che è una delle più grandi, mentre a Napoli c’è Scampia. Tuttavia, entrambe le periferie sono caratterizzate da una densità di persone e di storie che si intrecciano. Ormai, però, le periferie non sono più solo una caratteristica di queste due città, ma di tante altre. Anche a Milano, dove comunque ci sono periferie, la situazione è diversa: la maggior parte dei giovani che arrivano dalle periferie milanesi provengono da seconde generazioni, quindi il loro rapporto con le radici è diverso rispetto a chi cresce in una realtà come quelle di Roma o Napoli, dove la malavita e le difficoltà sociali sono parte del DNA della città. In sostanza, quello che accomuna Napoli e Roma è il senso di appartenenza e di lotta, che si riflette anche nelle scene rap.
Nel primo episodio, voi due siete i protagonisti, chi pensate abbia lasciato il segno più forte?
Zinghero: Obiettivamente lui, Ntò è un rapper a tutti gli effetti, mentre io, pur essendo sempre stato vicino al rap, da anni ho smesso di fare il rapper e mi sono concentrato su altri aspetti del mondo del rap. La mia posizione è diversa dalla sua, in quanto lui è molto più pratico e diretto nella musica. Abbiamo deciso di partire insieme, perché era giusto che lo facessimo noi due, non tanto per una questione di competizione, ma perché il nostro obiettivo è unire le due realtà, non fare una gara. Vogliamo portare insieme le nostre esperienze e visioni, cercando di creare qualcosa di autentico e che rappresenti entrambe le prospettive.
Ntò: Io credo che entrambi abbiamo fatto una bella cosa. Non ti dico i retroscena, ma credo che siamo riusciti a far emergere qualcosa di importante, siamo stati molto incisivi. Ho letto i commenti e ho visto i complimenti fatti a entrambi, e sono felicissimo per questo. Alla fine è un esercizio di stile.
Zinghero: Come sei diplomatico! Io ho fatto vincere te (ride, n.d.r.)
Ricordiamo che il primo episodio è uscito giovedì scorso e, dai commenti, sembra che il pubblico abbia reagito con entusiasmo…
Zinghero: I primi feedback sono stati molto positivi, i ragazzi sono curiosi e gasati. Quando si offre qualcosa di nuovo, che si differenzia da ciò che è già presente, si riesce a catturare l’attenzione in modo naturale. Credo che War Bars abbia questa potenzialità: un format fresco, che dà spazio al talento e propone un’idea diversa di confronto e unione nel rap italiano.
Ntò: È bello vedere che il pubblico ha capito il lavoro dietro questo progetto, perché alla fine è davvero incentrato sul testo e sul rap puro. Anche se qualcuno potrebbe dire che è un approccio diplomatico, io non sono d’accordo. Anzi, credo che sia un modo sincero di riportare l’attenzione su quello che conta davvero: la scrittura e l’esecuzione.
L’idea del beat con due ritmi diversi è davvero originale. Come è nata questa scelta e quanto è stata una sfida per voi come artisti?
Zinghero: L’idea del beat con due ritmi diversi nasce proprio per rappresentare questa dualità e unicità. Ogni rapper porta la sua metrica, il suo stile, e il beat si trasforma, dando vita a qualcosa di originale, quasi come se in una canzone ci fossero quattro tracce diverse. È un modo per far emergere il talento e la creatività dei rapper coinvolti, rendendo ogni episodio un’esperienza unica. Infatti, già nel primo episodio abbiamo visto quanto questa formula possa funzionare, e non vediamo l’ora di continuare a farlo con altri artisti.
Ntò: Quello che volevamo fare, in sostanza, era lavorare con beatmaker che avessero un’energia naturale, che fossero più vicini a noi, che conoscessero la scena e potessero dare il giusto ritmo alle produzioni. Questo era importante per coinvolgere anche i ragazzi giovani che, sebbene non siano ancora del tutto affermati, hanno molta potenzialità. Alcuni hanno già avuto esperienze ma non è sempre facile per i beatmaker emergere, spesso fanno ghost producing, mettendo il loro lavoro sotto il nome di altri. Questo vale anche per i videomaker, molti dei quali sono ragazzi giovani, e ci tengo che possano mettere il loro nome su video di tanti rapper, così da crescere insieme al progetto.
Vi aspettate che War Bars diventi un punto di riferimento per il rap italiano?
Zinghero: Per me, più che diventare il format più visto, sarebbe fantastico che War Bars diventasse una sicurezza, un punto di riferimento nel tempo. L’idea è partire con un po’ di giri tra Roma e Napoli, ma poi allargarci: andare verso Milano, la provincia, città come Genova, Lecco, Torino. Abbiamo in mente di coinvolgere talenti di tutta Italia, mantenendo la filosofia di equilibrio e rappresentanza. Nel progetto abbiamo inserito anche tanti giovani emergenti, sia come partecipanti sia nel team che supporta la produzione. L’obiettivo è creare coppie bilanciate, considerando non solo il numero di follower, ma anche il contesto e lo stile, per garantire sfide interessanti e ben calibrate.
Ntò: Noi puntiamo proprio a quello. Cioè, vorremmo che fosse così. Questo anche perché ha già incuriosito, e secondo me è una cosa davvero bella. In un certo senso, si parte con un’identità chiara, mentre gli altri sono più generici. Noi prendiamo due città a confronto, quindi creiamo anche una storia vera e propria, qualcosa di diverso. Magari, il prossimo anno potremmo farlo evolvere e coinvolgere città come Milano e Torino.
Avete già in mente i prossimi artisti che parteciperanno? Potete darci qualche indizio?
Zinghero: Preparatevi, perché ci saranno due giovani talenti pronti a lasciare il segno: uno di loro arriva da Roma, cresciuto sotto l’influenza del TruceKlan, già navigato e parte dei Barracruda. Oltre a figure storiche di grande spessore che incarnano con forza l’essenza delle due città. Nessun nome, nessuna anticipazione… ma state certi che sarà qualcosa di memorabile. Restate sintonizzati.
Secondo voi, qual è l’ingrediente fondamentale che un rapper deve portare in un format come questo?
Ntò: L’ingrediente fondamentale che un rapper deve avere per partecipare a War Bars è sicuramente la mentalità aperta e la voglia di collaborare. Stiamo cercando artisti che siano pronti a mettersi in gioco, a sperimentare, e che apprezzino l’opportunità di entrare in un progetto che non si limita solo alla visibilità ma che punta molto sull’autenticità e sul talento. Non è solo una questione di follower o fama, ma di passione e di impegno nel portare qualcosa di nuovo e autentico.
Abbiamo selezionato rapper che già avevano un certo seguito, ma non necessariamente quelli con milioni di follower. L’idea era trovare artisti che potessero trarre beneficio dal progetto, magari portando anche un po’ di novità al loro percorso. È come se si aggiungesse un accessorio in più, qualcosa che rende il rapper ancora più interessante e completo, come un orologio che arricchisce il look. La chiave è la volontà di far crescere la propria carriera e di farsi conoscere anche da un pubblico diverso, collaborando con altri rapper di altre realtà.
Quando si entra in questo tipo di progetto, è importante che ci sia una certa adattabilità. Noi della nostra generazione siamo più fluidi, pronti a partecipare e a dare il nostro contributo. In questo caso, cerchiamo di mediare tra chi ha una visibilità maggiore e chi sta crescendo, creando un ambiente che valorizzi tutti, senza metterli in competizione tra di loro per numeri e popolarità.
Per quanto riguarda la parte tecnica, di solito inviamo già il beat, ma lasciamo che il rapper lo gestisca come preferisce. Quello che conta di più è la coppia. La scelta delle persone da far lavorare insieme è fondamentale, perché sappiamo bene che nel mondo del rap ci sono dinamiche e antipatie, e non vogliamo che l’esperienza diventi scomoda per nessuno. È importante che l’interazione tra i rapper sia genuina e che il risultato finale non sia sbilanciato. Il nostro obiettivo è anche quello di evitare che i numeri dei follower prevalgano sulla qualità del contenuto, che è ciò che veramente conta.
Un’ultima battuta per i vostri fan: perché non possono assolutamente perdersi gli episodi di War Bars?
Zinghero: Perché sennò sarebbe un coglione (ride, n.d.r.). Ascoltare non costa nulla, è un dono che possiamo fare senza sforzo. Non bisogna giudicare a priori, ma concedere un’occasione: spesso, è lì che si nasconde la vera bellezza.
Ntò: Secondo me, è interessante anche il fatto che ragazzi di Milano e di altre città possano iniziare a scoprire realtà di Napoli e Roma che magari non conoscevano così bene, a parte i nomi più noti. È un’opportunità per offrire qualcosa di nuovo, una vetrina che ti permette di scoprire talenti e storie che altrimenti potrebbero sfuggire.