Tormento torna da solista pubblicando Petali e spine, un EP d’amore con le produzioni musicali di Frank Sativa. Quattro canzoni di musica leggera e d’autore, con al centro questo bellissimo sentimento che di questi tempi può risultare addirittura fuor moda, per l’uso eccessivo e banale che se ne fa, ma che è la chiave della felicità. Compiamo la nostra missione di vita solo se riusciamo a coltivarlo, rafforzando sempre più la nostra capacità di amare, senza mai farlo inaridire. L’uscita di questo disco quindi è stata anche l’occasione per incontrare l’artista e rivolgergli alcune domande, ma prima di immergervi nella lettura mettete in play Petali e spine, mi raccomando. Troverete l’intervista anche nella versione cartacea di Moodmagazine, il numero 30 disponibile nel nostro shop.
In questo nuovo ep metti l’amore al centro. Io ti ho sempre considerato un po’ come lo Shakespeare del rap italiano. Quando molti rapper parlavano di strada e delle condizioni sociali, tu lavoravi sul linguaggio dell’amore affrontando emozioni e sentimenti. In questo periodo storico, caratterizzato da storie drammatiche e conflitti, ritengo significativo il tuo gesto di mettere al centro un sentimento positivo, capace di farci sognare e staccare dal contesto attuale. Soprattutto, un sentimento universale, che non conosce barriere di qualsiasi natura. Quando hai iniziato a pensare a questo progetto?
Questo progetto musicale è nato durante il tour. Frank mi accompagna sempre dal vivo ed abbiamo sentito l’esigenza di creare qualcosa in linea con ciò che ci piace. Abbiamo quindi esplorato l’evoluzione del soul e del funk, semplificando il linguaggio per avvicinarci al pop. Questa è la nostra sfida: rendere una musica impegnata e complessa accessibile a un pubblico più ampio, una missione che in Italia sembra impossibile, ma che continuiamo a perseguire. Per quanto riguarda i contenuti, devo dire che Bagba, l’autore con cui lavoriamo, è fantastico. È uno dei tanti talenti straordinari che abbiamo in Italia. La scelta dei brani è stata naturale: abbiamo selezionato questi quattro perché esplorano l’amore da diverse angolazioni, riflettendo tutte le emozioni dell’animo umano. L’Hip Hop ci insegna attraverso la musica l’effetto che ha sul corpo. Come cantante e rapper, il mio corpo diventa uno strumento musicale. Analizzando in profondità la musica, il corpo e le emozioni, scopriamo che l’ansia e la depressione di oggi sono spesso amore represso. I giovani provano amore represso e questo porta a difficoltà nell’esprimere amore in tutte le sue forme: per un amico, un partner, una passione o per sé stessi. Invece di litigare, dovremmo guardarci dentro e risolvere le guerre interiori che affrontiamo.
L’Ep è composto da quattro brani che sono un inno all’amore, come dicevamo, ed un titolo che è già di per se esplicativo del progetto: la delicatezza dei petali e il pericolo nascosto delle spine. Infatti non c’è rosa senza spine. Pensi che le spine possano essere un pericolo o siano necessarie per il completamento nell’amore?
Brava, se da domani i desideri di ognuno di noi si avverassero immediatamente, il mondo diventerebbe un delirio. Invece, sono proprio le difficoltà a metterci di fronte ai nostri limiti. Ognuno di noi incontra ostacoli diversi da quelli delle persone accanto a noi, e forse siamo qui proprio per imparare da queste difficoltà. Se avessimo davvero il potere e la forza di creare tutto ciò che desideriamo, probabilmente non saremmo in grado di scegliere cosa è meglio per noi stessi.
Come hai lavorato con Frank Sativa per quanto riguarda la parte musicale e soprattutto come hai interagito con Bagba? Lavorare sui testi con altri è una esperienza nuova per te?
No, assolutamente. Sono anni che faccio l’autore per altri, amici miei. Ad esempio, “Acqua su Marte” è stata scritta con Raige, e ho collaborato con artisti come Dutch Nazari per il pezzo con i Tiromancino. Scrivere per gli altri è qualcosa che faccio con passione. Ho sempre realizzato i miei album personali quando sentivo il bisogno di esprimermi da solo, e magari ne farò ancora. Tuttavia, quando si lavora in gruppo in studio, la dinamica è diversa. Si dice spesso che ci sono pochi autori che scrivono per tutti, ma in Italia ci sono autori straordinari. Quando mi trovo a collaborare con loro, mi rendo conto della loro forza comunicativa e della capacità di trasformare emozioni complesse in un linguaggio pop semplice e accessibile. La collaborazione tra due o tre autori non è una semplice addizione, ma un’energia esponenziale che si crea. Arrivare a grosse produzioni con autori, musicisti, un producer che segue tutto e un tecnico del suono, rende la musica fantastica. Io sono cresciuto con il rap fatto in camera con due amici o da solo, ed è fichissimo anche quello, ma lavorare con altri autori e interpreti è un’esperienza bellissima e piena di emozioni. Infatti, ti tempra ancora di più nel creare. Nella scena rap, ci sono molte persone a cui piace lavorare da sole, ma a volte stare sempre da soli può essere un limite.
Ormai è praticamente impossibile scovare un progetto (in Italia almeno) che non sia disseminato di ospiti, a volte utilizzati quasi esclusivamente come riempitivo: la tua scelta di non avere nessun featuring?
Eh, ci piace fare scelte fatte bene. In generale, dipende da come vivi in questo periodo storico. Ci sono così tante uscite discografiche settimanali che puoi lasciarti travolgere da ciò che va di moda, con album che sembrano tutti simili. È una bella scena, dove ci si dà forza a vicenda, ma metto da parte gli interessi economici quando parlo di musica. Sono sicuro che ognuno, di base, lo fa per creare più hype e interesse intorno al proprio personaggio. Dall’altro lato, c’è la vera passione: ogni settimana scopri un mondo di musica bellissima che passa inosservata perché la gente vive solo delle notizie che riceve. Questa è la nostra scelta artistica.
A volte siamo influenzati dagli algoritmi di Spotify che ci inducono ad ascoltare pezzi correlati a quelli che già conosciamo, invece di cercare attivamente nuove musiche…
Questa è la sfida di oggi: una bolla di filtri che ognuno di noi deve spingere al limite. È lo stesso fenomeno di cui parli tu su Spotify. Sono mondi paralleli. Io vedo e seguo TikTok grazie a mio figlio, il che mi permette di entrare nel mondo dei ragazzi e di comprenderli meglio. Scoprire le altre bolle di vita ti spinge, almeno per me musicalmente, a sfidare continuamente questa bolla.
In questi trent’anni hai ispirato generazioni ad amare come Tormento ama… Come descriveresti il tuo modo di amare? Come è cambiato nel tempo, da “La Mia Coccinella” a oggi, la tua percezione dell’amore, ora che sei un uomo maturo e padre?
Ed è proprio questo che è cambiato: a 17 anni ero innamorato delle ragazze, ma poi ho capito che l’amore non è solo quello. Limitare l’amore a quel significato è riduttivo. L’amore è davvero a 360 gradi. Quando ho una passione così forte per il mio lavoro, succedono cose che nemmeno immagino, solo per tutto l’amore che ci metto. Succedono cose fuori dal mio controllo, segno che l’amore assume molte forme. L’amore può essere amicizia, amore per gli animali o per le piante. Proprio in questi giorni stiamo portando avanti un progetto legato alla scuola e alla musica. Questa è una visione più adulta dell’amore: mantenerlo vivo durante la giornata lavorativa, la meditazione mi aiuta ad attivare questo sentimento. La vita quotidiana può metterti in difficoltà e spingerti a metterlo da parte, ma è importante mantenerlo vivo. Bisogna saperlo coltivare costantemente.
È evidente che metti l’anima nei tuoi testi e la tua passione per il soul ne è una testimonianza. Parlaci di questa alchimia.
È un po’ quella che mi ha insegnato la musica. La musica è bella quando c’è armonia, e noi diventiamo belli quando c’è armonia in noi. Ho dovuto impararlo perché, altrimenti, la mia voce non esprimeva ciò che i testi e il mio corpo volevano comunicare. Le tensioni nel corpo ci impediscono di esprimerci come vorremmo, quindi, per cantare bene, devi prima sciogliere queste tensioni. La sfida è affrontare le tensioni esterne che ti tirano da una parte, e il corpo, per stare in equilibrio, tende a diventare rigido come il cemento. La vera arte e musica servono ad ammorbidirsi e ritrovare la propria forma, in modo che la voce sia rotonda e arrivi a parlare al cuore. Quando si dice che un interprete è bravo ma non arriva, è perché non sta parlando con la sua vera voce. Un cantautore che ha vissuto e sofferto ciò che racconta lo fa sentire in ogni parola. E quindi è questa l’alchimia che ho sempre ricercato, hai usato una parola bellissima. Studiare gli alchimisti del passato è stato illuminante per me. Questa intervista mi piace proprio per questo: ci fa riflettere su questi aspetti profondi della musica e dell’arte.
Il 19 giugno scorso ti sei esibito a Malpensa con Big Fish. Posso soltanto immaginare che emozioni si provi nel portare sul palco brani che hanno segnato la storia del rap italiano con i Sottotono… Qual è il tuo rapporto con il passato? Cambieresti qualcosa nella tua carriera, qualche scelta magari avventata o che si è rivelata nel corso degli anni non vincente? O semplicemente non hai nessun rimpianto?
Con il passato ci ho combattuto, abbiamo fatto a botte. Alla fine, però, ci siamo messi d’accordo. La meditazione mi ha aiutato a mettere a posto tutte le cose del passato. Senza fare questo, non puoi progredire. Devo dire che è stato bello anche scrivere la mia biografia, è stato un modo per tracciare un segno, fare pace con ciò che non mi era piaciuto del passato. Anche Fish ha fatto questo percorso, quindi c’è un amore che è andato oltre. Nonostante tutto, non ho rimpianti del passato perché vedo il presente e sono contento di vivere questo momento. Il concerto dei Sottotono è stato un sogno. Avere 1.200 persone davanti che cantavano tutte le canzoni a memoria è stato fantastico. L’unica cosa che mi stupisce è che, se non hai un singolo fuori, non partecipi agli eventi estivi. Ma vedere il pubblico tornare bambino, regalando e portando in giro diverse generazioni, è qualcosa di speciale. Nei nostri live trovi la mamma con i figli, il ragazzino, l’adolescente: è un mondo bello come quello dei Sottotono, qualcosa di originale che rimane nel tempo.
A proposito appunto di reunion, negli ultimi anni stiamo assistendo a questo ritorno della vecchia scuola, tra quella dei Dogo e l’annuncio di pochi mesi fa dei Co Sang. Con la vostra avete un po’ acceso la voglia di tornare alle origini. Com’è andata questa esperienza? Ricordiamo tra l’altro che è nata in un periodo difficile, quello della pandemia…
Bravissima, primi anche in questo. Questo ci rende fieri, sia me che Fish, perché abbiamo solo interpretato una corrente mondiale. Tutto il mondo musicale ha rispolverato i suoni di fine anni ‘90 e inizio 2000. Sentire The Weeknd su basi che potrebbero essere benissimo R&B di fine anni ‘90 e vederlo arrivare primo nel mondo è incredibile e ci fa un regalo fantastico. La scelta di tornare con Originali ha comportato dei sacrifici. Il suono è stato curato nei minimi dettagli per avere quel tocco particolare. Forse abbiamo pagato un prezzo in termini di ascolti, ma queste scelte artistiche spingono il nostro pubblico a guardare oltre i suoni del momento. È una sfida continua, dal terzo album ci hanno chiesto di rifare qualcosa di simile a Sotto effetto stono, ma abbiamo sempre spinto verso altre direzioni. Non ripaga economicamente, ma puntiamo ad altri livelli, non solo quello economico.
Realtà come Area Cronica, ricordiamo una delle crew più forti di quel periodo, nei giorni d’oggi quanto potrebbero essere significative per la carriera e l’evoluzione di un artista? Diciamo che attualmente nel game del Rap si tende a giocare da soli…
Sostanzialmente, viviamo in un’altra era. Negli anni ‘90, scendevamo tutti in piazza e il sociale era molto sentito. Anche se da piccolo non sapevo molto di politica, frequentavo i centri sociali perché erano gli unici posti dove potevi fare un concerto rap o una gara di freestyle. Erano punti di ritrovo fondamentali, che però sono stati annientati. In realtà, erano uno sfogo sociale importante. In Svizzera, i centri sociali sono gestiti dal comune perché sono davvero importanti. Non creare un’alternativa è un problema, viva l’Italia. La forza dell’Area Cronica era proprio quella: ogni strofa era influenzata da chi avevamo vicino, stavamo tutti a tremila con tremila input perché vivevamo insieme. È la stessa cosa che ho visto fare a Tedua, Mirko Rkomi, Bresh quando vivevano insieme a Milano, e anche con Nerissima Serpe, Papà V e la loro cricca. Quando ho conosciuto Sfera Ebbasta, era con Charlie ed era evidente l’energia atomica che sprigionavano insieme. È una formula che si ripropone: chi ha un po’ più di esperienza riconosce percorsi simili. Ho imparato molto dalle biografie di Marvin Gaye e Jimi Hendrix. I loro percorsi, seppur diversi, hanno somiglianze con i nostri. Bisogna sognare e perseguire i propri obiettivi, perché alla fine i percorsi si assomigliano sempre.
Ritorniamo un attimo sull’ep: nella title track citi uno dei miei calciatori del cuore, Roberto Baggio. Penso che tra te e Baggio ci siano delle similitudini, soprattutto spirituali. Lui è noto per essere buddista, e questo lo ha guidato nella sua carriera, nei suoi momenti più alti ed anche in quelli difficili, Direi soprattutto. Il tuo concetto di spiritualità?
Che chicca che hai tirato fuori, un parallelismo incredibile. Il percorso di Baggio è piuttosto simile a quello di Kobe Bryant, un altro dei miei eroi. Dedicare ciò che fai all’universo. Mi sembra il fine ultimo, la cosa più bella che un artista possa fare: regalare e interpretare con un linguaggio umano archetipi ed energie, cercando di trasformarli e tradurli in modo che ci si possa avvicinare. Questo è davvero il senso della spiritualità. Non è tanto, direi quasi una cattiveria, andare a Messa. Ma quando leggi le scritture sacre, ci sono un sacco di trucchi che ti aiutano nella vita. Le preghiere sono un serbatoio di energia. Se ci credi, ti arrivano delle botte di energia pazzesche. Invece di buttare fuori questa energia come facciamo nella nostra società, attraverso il sesso e le cose più basse, dovremmo elevarla verso le nostre idee, verso ciò che vogliamo sviluppare. Allora, i sogni si realizzano davvero. Noi artisti viviamo un po’ con la testa fra le nuvole, ma è da lì che prendiamo le idee che vogliamo portare nella realtà.
Però è molto bello, ho visto anche il tuo canale YouTube dove ne parli e secondo me è molto importante anche raccontare e trasmettere questo concetto anche ai giovani…
È futuristica, e la strada è sicuramente quella dell’evoluzione umana. I grandi filosofi lo dicono da migliaia di anni. Osservando le dinamiche del sistema, si ha l’impressione che l’artista sia invitato ad una produzione continua e costante.
Produrre tanto per non essere dimenticato in fretta, in un continuo loop: cosa ne pensi? Sappiamo che questo modus operandi non ti appartiene…
Zero, perché dedico molto tempo al lavoro e alla mia famiglia, all’amore per loro e per me stesso. Questo mi offre una grande ricarica. In passato, vivevo esclusivamente per produrre musica e accettavo di vivere in modo quasi asettico. Ora, invece, la produzione musicale la vivo in maniera più umana. Il mercato, però, è dopato, non solo nella musica ma in molti altri ambiti. Questo fenomeno si estende anche all’alimentazione e a tutto il resto. Nella musica, sembra che ci sia la necessità di essere sempre presenti e sul mercato. Ti dirò, dopo aver passato tre giorni a Milano, ti viene naturale iniziare a produrre cinque post al giorno, 8.000 storie e tremila foto.
Io che vivo a Milano concordo con quello che affermi, siamo così assorti dalla vita frenetica di questo mondo veloce che spesso non riusciamo a realizzare la vera essenza della vita.
Devo dire che dopo tre o quattro giorni a Milano, sento il bisogno di staccare un attimo e poi ritorno con energia nel lavoro. Attualmente vivo in Toscana, alle porte del Chianti, un luogo bellissimo, e mi sembra tutta un’altra vita. A Milano, però, tutti i miei amici mi guardano strano quando consiglio di dedicare mezz’ora o un’ora al giorno per mantenere la propria forma e equilibrio. Senza questo, l’armonia può svanire e diventa difficile ritrovare il proprio equilibrio.
Fin da adolescente oltre alle rime d’amore, hai raccontato la cultura hip hop e la sua storia, un aspetto spesso assente nei rapper di oggi. Come vivi l’evoluzione dell’hip hop? C’è un rapper contemporaneo che stimi particolarmente? Cosa stai ascoltando in questo periodo?
Esiste un’interessante attenzione verso l’hip hop tra i giovani di oggi. Quando incontro i vari trapper, non devo nemmeno presentarmi, poiché vedo un grande rispetto da parte loro. Anche se i trapper dominano la scena, molti di loro continuano a esplorare il freestyle e altri stili, proprio come facevamo noi in passato. Per esempio, ci sono video di giovani talentuosi come Geolier e Tedua che, già a 14 anni, mostrano un’impressionante abilità nel freestyle. Alcuni artisti che fanno trap comprendono e amano l’hip hop, cercando nuove chiavi di interpretazione del rap, e rispetto molto questo sforzo innovativo. Alcuni giovani, come Klaus Noir, sono eccezionali nell’analizzare l’animo umano e le emozioni, mentre altri, come Ele A e Tusco, stanno emergendo con grande talento. Tuttavia, c’è una certa difficoltà dovuta agli algoritmi che non sempre promuovono adeguatamente questi artisti. Inoltre, c’è poco interesse da parte del pubblico verso la musica più profonda e significativa, mentre spesso si preferisce criticare i nomi più noti o ascoltare musica più leggera. Anche se il supporto per lavori più seri è stato limitato, ciò che emerge è che i giovani artisti sono estremamente talentuosi e avanti rispetto ai tempi. L’attenzione verso il rap e l’hip hop è viva, ma la promozione e l’apprezzamento del pubblico rimangono sfide significative.
Ultima domanda: quale delle tue canzoni senti più tua e ancora ti emoziona? E quale invece non riproponi più nei live perché considerata ormai inappropriata di questi tempi?
Nei miei live inizio con un discorso filosofico sulla musica, sull’armonia e sull’equilibrio, per poi passare a “Dentro e Fuori”, un brano che per me ha un significato profondo e universale. Questo pezzo lascia spazio a qualsiasi cosa possa accadere, senza pregiudizi sulle strade che possiamo percorrere. Rappresenta davvero il mio modo di affrontare la vita e la musica. Dall’altro lato, ci sono canzoni come “Succo alla Pera col Gin” o “Di Tormento ce n’è uno” che, nonostante non senta più come parte di me, continuo a eseguire perché il pubblico le chiede costantemente. È un modo per superare la resistenza e rispondere all’affetto dei fan.
Come mai non senti più tue queste canzoni?
Beh, dire puttan collezionista a 50 anni non mi rappresenta più. (ride, n.d.r.)