SK8 POPOLARE, rapper classe ’79 di Reggio Calabria, pubblica oggi il suo secondo disco ufficiale. Anticipato dai singoli “Una Per…” uscito nel 2023 e “L’epilogo” uscito qualche mese fa, il disco, disponibile nei maggiori store digitali e fuori per Rising Time, prende il nome proprio dall’ultimo singolo. L’Epilogo è un disco rap concepito con standard classici, fatto di rime, scratch, di boom bap, citazioni e numerosi riferimenti all’Hip Hop.In questa intervista abbiamo cercato di scoprire di più sull’artista e abbiamo parlato tanto anche di presente e passato del rap e della scena.
L’Epilogo arriva a tanti anni di distanza da L’unica cosa che ho che era uscito nel 2016. Cosa hai fatto nel frattempo? E come ma tutti questi anni fra un disco e l’altro? Come mai esci con un disco proprio ora?
È vero, purtroppo non vivendo di musica, la vita ti mette di fronte ad altre priorità. Ti dico solo che “L’unica cosa che ho” è stato concepito quando vivevo a Belfast, Irlanda del Nord, mentre “L’epilogo” a Barcellona, Spagna. Diciamo che non sono stati esattamente degli anni tranquilli tra viaggi e traslochi. Ciò nonostante tra un disco e un altro sono comunque uscito con due singoli insieme a Masta P (Mennea e Boom Sound), a prendere parte al super progetto “Reggio Calabria Posse Cut”, nato dalla collaborazione tra i rapper più influenti della città, e a fare un altro singolo “The Italian Dream”, tributo a Marvin Vettori fighter di MMA. “L’epilogo” è un disco cui tenevo, volevo chiudere un cerchio e dare una degna conclusione al mio percorso musicale. In realtà doveva uscire l’anno scorso, con un Ep di 5 tracce, ma poi il progetto si è allargato e i tempi si sono allungati.
Il titolo è molto particolare. Come mai proprio L’Epilogo?
La cosa curiosa è che il tutto nasceva dal gioco di parole Ep/Epilogo, infatti il titolo in realtà doveva essere -L’ Epilogo- per sottolineare il formato del disco. Poi, come detto, si è allargato il progetto, da cinque siamo passati a otto tracce, quindi il wordplay l’ho messo da parte. È rimasta però la sostanza di un titolo che suggerisce la mia uscita di scena, la chiusura di un ciclo, di un percorso, dovuto probabilmente anche a una insofferenza verso un certo modo di fare e concepire il rap oggi. Il video che ha accompagnato l’uscita della title track, evidenzia bene il mio viaggio musicale in una sorta di memory lane
Da quando hai iniziato tu a oggi, quali sono le cose che sono peggiorate se si parla di Hip Hop?
Potrei parlarti di come i soldi hanno cambiato l’approccio a questa cosa. Chi come me ha iniziato negli anni ’90, non si sarebbe mai aspettato questa esplosione del rap: allora i soldi, il successo, non erano i motivi che ti facevano approcciare a questa cultura. Oggi purtroppo molti non amano l’Hip Hop, ma ci puntano come fosse un cavallo vincente per svoltare, quindi sicuramente è peggiorato il sentimento che ti avvicina a questa musica, che prima era sicuramente più “puro” diciamo così. E preciso, non sono un male i soldi, assolutamente, il fatto che ora il rap si prenda quanto seminato negli anni è una vittoria, sono gli effetti collaterali il problema. A volte sembra quasi che i rapper non si divertano a fare musica, la facciano solo pensando ai numeri e che si preoccupino più a quale orologio comprare, a che scarpe indossare o in che ristornate andare a mangiare. Altra cosa, questa davvero senza senso, è l’importanza che si dà a like, views, followers, quando poi sappiamo tutti che dietro ci sono investimenti tali da rendere questi numeri pompati e non direttamente proporzionali al valore dell’artista o del disco. E oltretutto si finisce sempre a parlare di numeri svuotando totalmente di significato un qualcosa che comunque resta l’espressione artistica di una persona e andrebbe valutata con un’altra ottica. Ma voglio darti un’altra risposta ancora, partendo in maniera letterale dall’ultima parte della tua domanda: oggi non si parla più di Hip Hop! Mi spiego: quello che veniva rimproverato al rap dei ’90 era che si parlava addosso. Le canzoni rap parlavano di rap. Si parlava di stile, di flow, della cultura, i bboy, gli scratch, i writers, continui rimandi alla scena americana, le firme street, ecc. ecc. Argomenti per “addetti ai lavori”. Quando il rap è esploso, si è allargata la platea, si sono ampliati gli argomenti (meno male intendiamoci) ma si è quasi smesso di parlare di Hip Hop, inteso come cultura. Se penso ad artisti come Neffa, Esa, Inoki, Maury B, giusto per citarne alcuni con cui sono cresciuto, nei loro dischi si parlava e si insegnava Hip Hop e questo era molto importante per la scena, per le nuove generazioni, per creare una conoscenza della cosa. Anche questo punto mi rendo conto che meriti una discussione più approfondita, ma ecco, secondo me si dovrebbe tornare a parlare un po’ di più di Hip Hop nei testi.
Te lo chiedo un po’ a bruciapelo, giusto per chi legge e non sa chi sei. Puoi dire qualcosa di te?
Mi sono avvicinato all’Hip Hop all’età di 15-16 anni, in piena crisi adolescenziale, ho visto nell’ Hip Hop un qualcosa che mi definiva, che mi ha aperto un mondo in cui mi sono immerso e mi ci sono ritrovato alla perfezione. Parliamo del 1995 a Reggio Calabria, è stato davvero un qualcosa di insolito, diciamo così, perché eravamo davvero in pochi. Nonostante ciò si creavano situazioni interessanti, jam, sia in città che in provincia, bene o male tra un pub e un centro sociale, da qualche parte si riusciva ad ascoltare del rap e a scambiare qualche chiacchiera con chi ne sapeva di più (Kento, Fiume, Big Boss, sono sicuramente tra i pionieri della scena reggina e mi sembra doveroso ricordarli, ma attorno a loro c’era un bel fermento). Ricordo gli anni della “ricerca” forse come i più belli, tutte le informazioni dovevi andartele a cercare: stavi attento alle citazioni nei dischi, ai feat, compravi i dischi e ti spulciavi i booklet cercando props, ti collegavi alla radio quando iniziava One Two One Two, leggevi AL, BIZ. Personalmente la svolta l’ho avuta quando mi sono trasferito a Perugia per l’Università, là ho iniziato a vedere i primi live seri, i primi gruppi americani, e a trovare negozi di dischi fornitissimi. E poi da lì ho iniziato anche io nel 2006 con il mio primo ep “Cuore e Testa” e molti altri lavori che sono pubblicati sulla mia pagina bandcamp (non sono pubblicati su Spotify, troppo grezzi) , alcuni un po’ basici, altri, per i mezzi a disposizione, molto validi. Ho sempre pubblicato i miei lavori in maniera indipendente, autoproducendo ogni uscita fino al 2016 anno del mio primo album ufficiale “L’unica cosa che ho”, successivamente ripubblicato sotto l’etichetta calabrese Rising Time, di cui tutt’ora faccio parte.
Tu credi ci siano differenze, in termini di possibilità e visibilità, per un rapper che vive a Reggio Calabria rispetto a uno che vive a nord?
In termini di visibilità sicuramente si, se pensiamo a quante serate/eventi vengono organizzati al nord e quanti in una città come Reggio. E non parlo di concerti grossi, parlo di appuntamenti fissi, settimanali, dove hai la possibilità di conoscere gente dell’ambiente e anche di salire su un palco e farti conoscere. Questo vale per Reggio come anche per molte altre realtà più piccole. Le possibilità, invece, te le vai a cercare tu, sta a ognuno trovare la propria strada. Dipende sempre da quali sono le tue ambizioni e a cosa punti, io vivo all’estero addirittura, ma questo non sposta di una virgola il mio legame con l’Hip Hop. Sono ovviamente cosciente che il mio vivere all’estero ormai da quasi 20 anni abbia influito in maniera negativa alla mia carriera musicale, limitando di molto la mia visibilità in termini di live ma anche di conoscenze dirette. Tutto ciò però non ha influito minimamente nel mio amore per l’Hip Hop o nella mia voglia, nel mio piccolo, di continuare a farlo, indipendentemente dal luogo, dalla distanza, e soprattutto dal riscontro.
Come hai detto … tu sei andato via, sei a Barcellona. Cosa ti ha spinto lì?
Io in realtà sono andato via da Reggio a 18 anni, prima a Perugia, poi a Bucarest, Belfast e infine a Barcellona. Io non ho mai pensato al rap come un lavoro, ma perché semplicemente quando ho iniziato era un qualcosa di impensabile, quindi determinate scelte e determinati spostamenti sono stati dettati da esigenze lavorative. La musica viaggiava parallelamente a tutto ciò. Poi certo, c’è da dire che la mia vita è stata forse un po’ troppo instabile, il che mi ha portato a girovagare per l’Europa, motivo per cui non sono mai riuscito a spingere a fondo con la musica come avrei voluto e a farmi conoscere meglio anche quando poi si sono create le condizioni di mercato favorevoli.
Ti sei integrato con la scena locale? Vedi qualche differenza rispetto all’Italia?
Premetto che Barcellona è una città molto elettronica come profilo, quindi con parecchie feste e festival di questo genere. C’è comunque un bel movimento organizzativo per quanto riguarda la doppia H che ha portato negli ultimi anni sia artisti americani (Talib Kweli, Yasiin Bey, Mobb Deep, Conway, ecc) che italiani (il Colle, Kaos, Bassi Maestro, Gue, ecc), l’offerta non manca. Vi dico anche una curiosità: ormai da un paio d’anni il buon vecchio Jeru The Damaja vive a Barcellona e organizza party ed eventi. Sull’Italia, da persona che ha girato parecchio all’estero, posso dire che che la crescita del settore è impressionante. Certi numeri che ci sono in Italia, all’estero se li sognano. E parlo tanto di mainstream quanto di underground.
Vorrei chiederti qualcosa in più sul disco. Lo hai fatto anticipare da due singoli, Una Per… uscito nel 2023 e L’epilogo uscito qualche mese fa. Mi è abbastanza chiaro perché hai pubblicato il secondo, ma il primo del 2023 cosa dice del disco? Perché proprio quello come singolo di lancio?
Capisco la domanda, in realtà la risposta è molto banale: l’idea era di uscire con un Ep di 5 tracce (lo accennavo prima) l’autunno scorso, verso Novembre. Il singolo “Una Per…” l’abbiamo fatto uscire a Settembre perché come sonorità era più adatto a un periodo estivo, e anche se siamo andati lunghi coi tempi, comunque si è inquadrato bene come periodo. Inoltre “Una Per…” è una lunga dedica, e ben si inquadra in un disco di addio, chiamiamolo così. Il discorso è che poi il progetto si è ingrandito, si sono aggiunte tracce e ospiti e, non avendo nessun vincolo a uscire a Novembre, abbiamo deciso di prenderci qualche mese in più e allargare il progetto. E così a Marzo è uscito il secondo singolo “L’Epilogo” e adesso finalmente il disco intero.
Se parliamo di contenuti, cosa troviamo nel tuo disco?
È un disco rap concepito con gli standard classici, quindi tante rime, tanti scratch, il boom bap che la fa da padrone e vari rimandi alla cultura HH e alle abilità al mic. Detto questo, pur essendo indirizzato sicuramente alle teste Hip Hop, per la varietà dei temi trattati è di piacevole ascolto anche per i non addetti ai lavori. Non mancano ovviamente i pezzi un po’ più autocelebrativi, come “Fuoco e fiamme” e “Explicit”, ma c’è spazio anche per la protesta (o più che altro indignazione) sociale “Il Paese dei Balocchi” o semplicemente per una dedica a cuore aperto “Una Per…”. Più introspettive “Non ci sei” dedicato evidentemente alla fine di una relazione e“Terra Mia”, vera e propria poesia dedicata a Reggio Calabria, in cui vengono citati sia i Colle der Fomento che Giovanni Pascoli. Infine, in “Mai come mi vuoi” e “L’epilogo” è chiara da un lato la presa di distanze verso un certo modo di fare rap e dall’altra l’amore per ciò che questa cultura rappresenta e ha rappresentato nella mia vita.