E’ uscito da qualche settimana Ad Libitum (per l’etichetta francese Musicast), il quarto album di Zatarra, rapper senese e marsigliese di adozione.
Il singolo di lancio è Invictus, brano in cui Zatarra racconta il momento in cui ha ricevuto la notizia di soffrire di gravi problemi di salute. Il video, diretto da Riccardo Barone per Room Zero, è ambientato in un teatro e vede un attore andare in scena senza pubblico. Il pezzo vuole essere una testimonianza di una battaglia personale, perché una delle cose imparate da Zatarra in questa disavventura è che l’importante è parlarne e ascoltare le esperienze altrui. “Mi piacerebbe che chi si trova in una situazione analoga – si apre il rapper – ascolti e comprenda che l’abisso in cui si cade nelle prime settimane deve essere solo toccato per poi tornare a galla. Io sono stato aiutato da mia figlia (che aveva cinque mesi) e Invictus è un omaggio al suo cuore e alla sua anima: è stata lei, tra la prima e la seconda risonanza, quando il terrore di un countdown già iniziato mi dominava, a infondermi fiducia, a darmi quel flusso di vita che pensavo si stesse asciugando. Spero a mia volta di aiutare gli altri con la musica”.
Ad Libitum è un disco “fuori moda, fuori tempo e fuori luogo”, come lo definisce, non senza ironia, l’autore stesso. Fuori moda per l’omaggio esplicito ai valori originari dell’hip hop, estetica compresa, e a vari esponenti dell’epoca felice del rap. Fuori tempo per l’obliquità naif delle metriche e del flow, con la cadenza francese del sud che prevale anche quando le rime sono in italiano, spiazzando l’ascoltatore. Fuori luogo perché, nonostante si tratti di un disco nato in Italia, l’etichetta e distribuzione, Musicast, è francese, ci sono vari ospiti marsigliesi e con ogni probabilità i suoni risulteranno più familiari a Marsiglia che in qualsiasi altro posto al mondo. Qui di seguito la breve ed intensa intervista che ci ha rilasciato gentilmente l’artista.
Abbiamo ancora negli occhi le immagini di Invictus, dove tratti in maniera molto delicata e poetica le dinamiche legate al tuo attuale stato di salute, e dove hai trovato la forza per reagire…. Se potessi condensare tutto quanto il disco in una sola parola, quale sceglieresti?
Grazie per le parole su “Invictus” innanzitutto, ci tengo moltissimo a quel pezzo. Più che una sola parola mi prendo la “licenza” social di condensare il disco in un hashtag, e cioè #fatevelaprenderebene. Io per primo. Perché tra le varie sfaccettature dei contenuti, dagli omaggi alla cultura hip hop, al rap “à l’ancienne”, al mare, alle mie riflessioni introspettive, il denominatore comune che il mio cuore ha voluto dare ad “Ad Libitum” è stato proprio il “prendersi bene”, a scriverlo, a rapparlo, ad ascoltarlo, a viverlo.
Dj Diel, Esa, Amir, addirittura il redivivo Profeta Matto: come sono nate le collaborazioni?
Come sempre, e cioè dalla volontà di condivisione di esperienze, fosse anche per una giornata, qualche ora, o solo un momento. Stavolta più che mai ho voluto dentro al disco persone che hanno un ruolo dentro la mia vita quotidiana, realmente o virtualmente. Chi mi contorna (vedi in primis i miei ragazzi dell’ex Lab Lo StRAPpo, Orel o un immenso Esa), chi magari non riesco più a frequentare quanto prima o quanto vorrei per problemi logistici e per la nuova condizione fisica ma su cui so di poter contare (vedi Amir, Djel, Boss One) qualcun altro che anche solo con il telefono o i social mi fa sentire il suo supporto e la sua presenza (vedi appunto Simone, Profeta Matto).
Lo definisci un disco “fuori moda, fuori tempo e fuori luogo”: non hai paura di essere anche fuori mercato?
Per come ho creato questo disco, di sicuro sono “fuori mercato”, almeno per quel che riguarda l’attuale “vetrina” dei giocattoli rap italiani (fortunatamente ci sono i miei “collègues” marseillais!). Ma di paura non se ne parla: sfido chi legge ad ascoltare anche solo qualche traccia random di “Ad Libitum” e a dire cosa trasmette. Ad alcuni piacerà, ad altri potrà non piacere, ma certamente anche questi ultimi non potranno dire di aver recepito sensazioni negative quali paura o timore.
Nel disco, fra le citazioni, c’è anche un omaggio a Pino Cacucci: usando in modo pretestuoso il titolo di un suo libro, a quasi quarant’anni hai qualche rimorso?
Anche qui la soddisfazione personale sale: se certi messaggi di citazioni vengono carpiti, considero la mia missione già compiuta. Pino fa orgogliosamente parte della mia formazione. In “Me(diterraneo)” – che sarà il prossimo singolo – parlo di una serie di fatti che ricordo più con il sorriso che con mestizia (“il mio primo pezzo scritto e mai rappato”, “il mio primo cd”), quindi non parlerei di rimorsi, soprattutto in riferimento alla musica, piuttosto di “errori di gioventù”, quelli che cerco da sempre di far evitare ai ragazzi dei miei Laboratori/Atéliers. Non mi sono mai considerato un rapper di livello tecnico eccellente, piuttosto una persona che ha avuto sempre tanta voglia di fare per importare la positività di una cultura dove non c’era (visto da dove vengo), e per questo non ho rimorsi.