Intervista a cura di Akadanno.
Tratta dal numero 4 di Moodmagazine.
LORD BEAN aka BEAN ONE
Bean nasce, cresce e si evolve come writer, ma il tuo nome come rapper circola nell’underground da svariati anni, colpevoli pezzi assoluti come “Street opera” o “Gli occhi della strada” risalenti al periodo fine 90. Dopo il tuo primo demo, quasi una pietra miliare, il silenzio per un po’ di anni, è stato rotto dall’ep Lingua Ferita. Qui si sarebbe detto un nuovo inizio, e invece di nuovo silenzio, o voce bassa… come mai?
La ragione è sicuramente che ho deciso di non investire tutto nella musica, che per me rimane solo uno dei mezzi per esprimermi. Non mi sono mai preoccupato quindi di dover produrre dei dischi solo perché la gente se lo aspettava, ma gli sono comunque grato per il supporto dimostratomi in tutti questi anni. Da quì la scelta di far uscire Lingua Ferita per necessità ma di non fare live da solo, sono esperienze che ho già fatto e non vorrei ripetere. Adoro invece le cose spontanee, non studiate a tavolino: il progetto Dublinerz con Bassi e Supa è nato così e non ci siamo posti questioni sull’effetto che avrebbe portato sul pubblico. Un pubblico attentissimo ed esigente, ma che nella maggior parte dei casi non compra neanche i dischi. Tanto vale allora fare musica prima di tutto per soddisfare un’esigenza personale. Se la musica che fai è sincera, il seguito c’è, e tu lo sai bene! Io ho avuto la fortuna, più di dieci anni fa, di essere stato introdotto nel rap seriamente da persone come Esa e Polare, Fritz, Kaos, Sean, persone di cui ho grande stima e stando a contatto con loro so di avere imparato molto su come approcciarmi a questa disciplina. Ci sono state occasioni in cui avrei potuto fare musica collaborando con altre persone, ma sono sfumate perché evidentemente i tempi non erano maturi. Ora ce ne sono altre che sto prendendo al volo perché le sento mie, e riguardano l’amore per la musica a 360 gradi. E se vuoi che facciamo qualcosa io e te, la proposta è sempre valida! In sostanza, penso che bisogna fare dischi perchè si hanno delle idee, non trovare delle idee perchè si deve fare un disco.
Hai cominciato illegalmente scrivendo il tuo nome sulle mura della tua città e non solo. Probabilmente lo facevi per “affermare di esistere” e per far “girare il tuo nome sopra quello degli altri”. Ora insegni writing e calligrafia, esponi le tue opere e ti commissionano lavori da tutte le parti, dalle esibizioni in freestyle di calligrafia alle copertine dei dischi (ricordiamo la strepitosa “Guerra fra poveri” di Mr Phil, e l’ultimo singolo dei Casino Royale). Perché lo fai ora? E che significa trasformare una passione rischiosa e malvista da quasi tutti in un lavoro vero e proprio capace di darti da vivere e di farti sentire “realizzato” (ammesso che tu lo sia…)?
Penso ci sia un momento per tutto. Da adolescente sai di avere un’energia ed una rabbia fuori dalla norma e ad un certo punto ti capita uno spray in mano. Quello che ne esce fa si che tu trovi un posto da ribelle, ma in qualche modo riconosciuto, in una società a cui fai fatica ad appartenere, che non sai ancora gestire e che pensi di combattere scrivendoci sopra. Tutto questo a 16 anni ha un senso. Il writing è una delle cose che mi ha segnato di più, facendomi rifiutare, non senza parecchie difficoltà, di omologarmi alla mediocrità della vita e degli interessi dei miei coetanei. Fare una vita come la loro, fatta di discoteca, calcio, droghe sintetiche, relazioni superficiali, forse sarebbe stato più facile ma non sarei mai stato me stesso. E adesso sentirei quel malessere dato dal non saper cercare quello che si vuole veramente, che poi spesso è mascherato da atteggiamenti violenti, individualisti e qualunquisti che a Milano vedi sfilare in Brera, in corso Como e nei locali trendy; la Cocaine generation. Mi fanno parecchia pena. Allora si può parlare della ricerca dell’unica cosa che veramente conta per sentirsi bene, la gratificazione. Capire quali sono le proprie potenzialità e sfruttarle, metterle a disposizione degli altri, per migliorare un po’ il mondo. Da quando ho cominciato a comprendere questo ho mollato definitivamente il mio vecchio lavoro senza avere nessuna certezza di come sarebbe andata ed ho iniziato a dedicarmi completamente al lettering in tutte le sue forme, perchè la mia formazione dai graffiti in poi non andasse sprecata. La passione traspare nel lavoro che fai, e questo può portarti a delle soddisfazioni, come ad esempio vedere la tua copertina sugli scaffali dei negozi e sentirti fare tanti complimenti da prendere con le pinze. Insegnare quello che so ai giovani writer o la calligrafia a persone di 60 anni è un modo per restituire quello che hai preso, oltre ad essere un’occasione privilegiata per imparare.
Cosa è cambiato in questi anni dentro di te? E cosa è cambiato fuori di te?
Domandona… ma cerco di rispondere. Attraverso le esperienze, positive ma soprattutto quelle negative, ho imparato un po’ di più a guardarmi dentro. A diminuire le cose che mi sono nocive, e a comprendere che ogni cosa che faccio ha un effetto sul mondo e le persone che mi circondano. Potrei dire che sono semplicemente cresciuto, come tutti. È bello scoprire che un cinquantenne ti ascolta come tu ascolteresti un ragazzino. Trovare un equilibrio con se stessi deve però fare i conti con un mondo poco accogliente, e questo è difficile, davvero. Aprirsi alle nuove realtà senza pregiudizi costa fatica, la fatica del cambiamento a cui siamo poco disposti per natura. Ma se c’è gente che vive in Groenlandia, allora si può vivere bene anche quì. I problemi sorgono quando si vogliono mantenere tutte le cose al proprio posto senza capire che questo non è proprio possibile. Chi pensa che “prima si stava meglio” non vive nel presente, non cerca di comprendere quello che gli succede intorno trovandone gli aspetti positivi, di intervenire se necessario, e subisce le decisioni di altri. L’uomo cambia e si adatta ai cambiamenti, da sempre, e per metabolizzarli abbiamo sempre avuto guerre e periodi di transizione. C’è da dire che spesso ci si sente impotenti a constatare che il semplice fatto di dover lottare per ottenere qualcosa è stato sostituito dall’individualismo, dalle rate della macchina, della casa e del televisore che ci riportano ad un branco di cani bastonati con la testa bassa, talmente abituati alle mazzate che neanche le sentiamo più. Ecco io sto cercando un modo per tenere la testa un po’ più alta.
Che ti ascolti in questo periodo? E soprattutto…perché?
Meno male che c’è la musica! Quando cerco un po’ di riflessione e di tranquillità, la mia scelta è sul folk; mi piace sentire storie di persone che parlano di persone. Una chitarra e una voce e basta, che raccontano storie. Nick Drake, Iron and Wine, Josè Gonzales, ma anche i nostri Guccini, De Andrè, Conte. Recentemente ho scoperto anche i vecchi dischi dei Massimo Volume, “Lungo i Bordi” è poesia pura. Sono un grande fan di Franco Battiato, sia della sua discografia sperimentale, che di quella classica che quella contemporanea. Ad averne di artisti così. L’acquisto recente di un giradischi sta facendo in modo che tutti i mie i averi vadano nella ricerca di vecchi dischi, quindi cerco funk e rock jazz e qualcosa di prog, Napoli Centrale, Tony Esposito, Perigeo per fare dei nomi, e tutto il filone CTI, quindi Bob James, Groover Washington, Hank Crawford, Lalo Shifrin, adoro David Axelrod e molti altri. Poi ogni tanto, è incredibile quando trovi cose valide ma semisconosciute. Non ho la necessità di trovare campioni per le produzioni, quindi cerco musica da ascolto, pezzi lunghi e intensi, vorrei riportare il mio ascolto della musica ad un’esperienza sensoriale che può condizionare o assecondare l’umore e allo stesso tempo nutrire l’anima, come lo è leggere un libro. In fondo è anche per questo che esiste. I formati compressi e le casse scrause del computer andrebbero usati il meno possibile. Per quanto riguarda l’hip hop, ne ascolto davvero pochissimo, in genere mi passano delle cose. A parte poche rare eccezioni, è una musica da svago, che mi emoziona poco. Ho smesso di ascoltare la maggior parte del rap americano quando ho cominciato a capire che cosa dicevano nei testi.
Io e te abbiamo sempre parlato di politica. La gente oggi se parli di politica si schifa e forse un po’ fa bene, mi sembra un punto di non ritorno in cui “non si salva più nessuno”. Si scende in piazza ma non si ottiene quasi nulla, non si sa più a chi credere (mi viene in mente il nome di Beppe Grillo che da nuovo messia è gia diventato un altro di cui almeno dubitare…), si ripetono le stesse cose ogni giorno… ma se da una parte metà del paese sembra fregarsene, l’altra metà ci sguazza benissimo in questo mare di banditi che fanno a gara chi è il più furbo. Qualcuno ha detto che un popolo si merita il parlamento che ha. Allora che facciamo? Fondiamo una setta religiosa segreta e ci trasferiamo nello Sri Lanka o ci iscriviamo ai terroristi e andiamo a mettere le bombe?
Controversa questione. Mi sembra che uno degli errori che si fa più spesso sia quello di cercare degli opposti e sceglierne uno. Bianco o nero. Destra o sinistra. Buono o cattivo. Oggi si sentono cose strane. Se si scoprono le malefatte di un partito di sinistra è più grave perchè vuol dire che la sinistra predica bene e razzola male. Per la destra è normale, si sa, loro son fatti così. “Beppe Grillo dice tante belle cose ma intanto ha la Ferrari”; se c’è gente che ragiona così, chi è il populista? In fondo Grillo ha smosso le coscienze intorpidite di tante persone, anche la mia. Non è un guru da seguire in ogni cosa che fa, sta a noi farci delle opinioni, giudicare da che parte stare sapendo che ci sono parecchie sfumature tra il “bene” e il “male”. Tutti noi facciamo dei compromessi non proprio etici, e questo perchè abbiamo accettato un modello capitalista, in cui dobbiamo produrre, guadagnare e spendere. A me sembra che la politica sia fatta di uomini, e che in Italia sia un modo di conquistare una posizione privilegiata e intoccabile rispetto ai comuni mortali. È innegabile che se una persona di potere come Berlusconi, che dovrebbe stare in galera, è stato eletto a governare il paese, significa che la gente vuole questo modello da seguire. La furbizia, fottere il prossimo e se necessario lo Stato per assicurarsi benessere ed incolumità. È questo vale dalla più alta carica all’ultimo impiegato. Considerare gli altri al pari di sé non è contemplato. Questo modo di pensare che alimenta la differenza sempre più sostanziale tra (pochi) che hanno tutto e (molti) che vivono di stenti. E la sfiducia verso il sistema politico è data anche dal fatto che i cittadini delegano tutto agli onorevoli, se qualcosa non va è colpa loro. Pochi credono ancora che la politica sia fatta di gente e che anche solo un tuo gesto, come andare in bici anziché in macchina, o cercare di far ragionare il tuo vicino che fa casino la notte, sia fare politica. Finché le cose stanno così non credo ci sia molto posto per la cultura e una qualità differente della vita. Abbiamo contribuito tutti a costruire un posto che per ignoranza e per menefreghismo generali, è veramente malgestito, e se lo vogliamo cambiare ci vorrà molto tempo. Io non ho una soluzione, ma cerco semplicemente di comportarmi in maniera corretta, senza prevaricare la libertà degli altri. La vecchia regola di non fare agli altri quello che non vorresti fatto a te è più che sufficiente per affrontare una giornata nel modo migliore. E le bombe non hanno mai costruito nulla, solo distrutto.
Io e te concordiamo che la musica, l’arte, come quasi ogni singolo gesto quotidiano, può avere una forte valenza politica o sociale. Il privato che incide nel pubblico e non solo viceversa. Attraverso l’arte si possono veicolare i messaggi più disparati, ed è facile colpire emotivamente lo spettatore su alcuni tasti critici. Per molti però fare politica attraverso l’arte significa essere paraculi e usare temi scottanti per attirare l’attenzione su di sé. La domanda è: pensi che l’arte possa cambiare veramente qualcosa o alla fine è solo teatro? E se c’è, qual è il significato politico che dai ai lavori?
Io lavoro con le lettere, e le lettere servono per comunicare. Il mio modo di fare arte è cambiato da quando ho bisogno di inserire un significato. Ultimamente i miei lavori hanno spesso un messaggio correlato da un’estetica che li identifica. Se mi chiedono una grafica per una tshirt, che verrà vista da parecchie persone, perchè non usarla come mezzo per dire qualcosa a cui tengo?
E il significato umano?
La scrittura a mano è una maniera per riscoprire ritmi che anticamente appartenevano alla quotidianità dell’uomo, e che oggi sarebbero considerati lenti. Beh, io dico viva la lentezza, goduta in ogni suo istante, perchè l’attimo in cui facciamo una cosa è l’unica certezza che abbiamo.
Tu mi hai detto “i pezzi delle posse ora suonano datati e alcuni anche ridicoli, ma è una questione solo di “dire la cosa giusta al momento giusto””. Chi è ora che secondo te sta dicendo la cosa giusta al momento giusto?
Mah, è difficile stabilirlo, bisognerebbe capire che cosa è giusto, prima. Però credo che le cose giuste al momento giusto, nella musica intendo, siano semplicemente dei concetti universali detti con gli strumenti e il linguaggio del momento in cui vivono. Troppi riferimenti specifici a fatti di attualità ad esempio, possono rendere una canzone usa e getta. Così come quelle estremamente autocelebrative, penso che si autodistruggeranno fra cinque secondi. Se ascolti una pezzo di Deda oggi, non perde di smalto e per questo è così apprezzato e se ne ha questa nostalgia. Le cose che rimangono, spesso sono quelle che parlano della condizione umana e delle sue sfaccettature. I pezzi di De Andrè o di Battisti suoneranno attuali ancora per molto tempo.
Quando ci siamo conosciuti, a casa di Esa e della Pina, nel lontano 97 l’aria era burrascosa. Eravamo tutti più giovani e agitati e ce la sentivamo calda su tutto. Eravamo agguerriti se non proprio “guerrieri”. Litigammo di brutto su questioni da b -boy. Poi ci siamo rincontrati negli anni e abbiamo passato una giornata in giro fra Monza e Milano aspettando un concerto di Kaos. Abbiamo parlato molto quel pomeriggio e ti ho visto diverso, più riflessivo, maturo e… azzardo… come se fossi alla ricerca di un nuovo equilibrio, o di un nuovo senso da dare alle cose. Mi viene il dubbio che anche io sia cambiato, come se avessimo abbandonato quella sbruffonaggine caratteristica del b-boy pischello che si crede il king assoluto e ci fossimo scontrati contro la dura realtà dei fatti… tu che pensi?
Ricordo perfettamente quella volta a casa di Pina. In particolare ci fu una discussione infuocata con Masito su quale di due writer romani avesse copiato l’altro… ma ci pensi!?! Ed Esa che cercava di mettere pace. Io ero sicuramente un pischello infottatissimo (e poco rispettoso, per la verità) e vedevo tutto come una sfida. L’hip hop era il filtro di tutto, anche per conoscerci avevamo bisogno di avere uno scambio prima su queste cose. Penso fosse così anche per voi, no? Poi andammo ad una festa tutti assieme e da lì facemmo amicizia. Ma se quella stessa passione la mettessimo oggi nelle cose che facciamo? Ricordo anche quel pomeriggio prima del concerto di Kaos, e credo che tu abbia visto esattamente quel che credevi. E se vuoi saperlo, si anche tu sei cambiato, e in meglio. Dovrei stupirmi del contrario! Si diventa più disillusi e meno romantici su certe cose, ma c’è sempre una passione in cui incanalare le proprie energie e per cui vale la pena rischiare.
Due domande di rito: quali writer e quali rapper metti sopra tutti gli altri?
Come ti dicevo, il rap non lo seguo molto. Ci saranno sicuramente dei nuovi bravissimi, no? Mi piacciono alcune produzioni Def Jux ed El P in particolare, col disco nuovo poi si è messo in gioco anche al di fuori del rap-col-paraocchi-business. È molto difficile da digerire, ma quando riesci ad entrare un po’ in quella mente contorta, c’è da divertirsi. Poi mi piacciono le produzioni Stones Throw. Forse è meglio che ne citi qualcuno tu! Per i writer, uno dei miei preferiti è Smash, ha veramente un sacco di idee.
Rebel Ink e altri progetti a cui stai lavorando ora…che ti va di dirci?
Rebel Ink è stata ed è tuttora una grande esperienza per me. Io Rae e Klefisch cinque anni fa ci siamo trovati a chiederci che cosa potevamo fare del nostro background da writer frustrati (!), e abbiamo deciso di lavorare con questa performance. Il “post graffiti” o ancora peggio la “street art”, sono concetti che abbiamo cercato di evitare da quando sono nati (o meglio, creati dai media per dare un nome all’arte di strada sdoganata e diventata improvvisamente di moda), ed è stato faticoso restare fuori dal calderone in cui molti si sono infilati cercando di prendere il più possibile e di sfruttare l’ondata di interesse mediatico. Ma ti pare possibile che Sgarbi deva dire quali graffiti siano arte e quali no? Quanti treni ha fatto Sgarbi?!? Ora finalmente questo nostro atteggiamento sta cominciando a dare qualche frutto. Questa estate a Praga c’è stata una grande manifestazione in cui erano presenti grandi nomi della scena artistica alternativa internazionale, e gli italiani invitati eravamo solo noi e Blu. È stata per noi una grossa soddisfazione. Vedremo cosa ci riserva il futuro.
Hai sempre parlato di strada nei tuoi testi, senza mai giocare troppo a fare il criminale non ti sei però mai risparmiato nel descrivere con parole dirette quello che succedeva in piazza. È ancora importante la strada per te? Questo luogo spesso mitizzato dall’hip hop, la strada, che cos’è per te?
Mitizzato è il temine giusto; il concetto di strada è un retaggio del rap d’oltreoceano. Io ne parlavo perché ci passavo parecchio tempo, e come tanto altri vedevo e sentivo cose che in qualche modo mi hanno formato, temprato e segnato per sempre. Altro che militare. I miei coetanei che hanno vissuto quei tempi, sanno di cosa parlo. Chiaro che c’è parecchia gente che passa i pomeriggi in piazza in zone di periferia poco raccomandabili e che non vede l’ora di scrivere un testo su quanto è dura vivere lì, ma è una condizione da cui si dovrebbe voler uscire il prima possibile, non in cui crogiolarsi. E le occasioni per farlo non mancano, non siamo così messi male. È chiaro che se hai l’esempio di un pregiudicato in parlamento che ti dà l’impressione di “avercela fatta”, allora si spiegano tante cose…
Cattivi maestri e fratelli di vita senza i quali Bean non sarebbe Bean oggi…
Non farei mai i nomi dei cattivi maestri, ma ci sono persone che ho conosciuto molto bene e che mi hanno fatto pensare “ecco, io non voglio essere così”. Sicuramente i miei fratelli Spice, Cleph dai tempi dei Lords of Vetra, e Klefisch successivamente sono persone speciali a cui devo molto e con cui ho sempre avuto uno scambio profondo su tutto. Li ringrazio per esserci stati e per esserci sempre.
Anni 90: “fumo la mia porra zero trip trip trip”; Anni 2000: “fumo crack…”. Come la vedi la faccenda?
È preoccupante vedere dei ragazzini di tredici anni pippare cocaina come se niente fosse. Non dovremo stupirci quando fra qualche anno vedremo i primi casi di Alzheimer precoci. È facile informarsi e capire che i danni del crack non sono quelli del fumo, sebbene anche l’erba penso debba essere usata con cautela e da persone predisposte. Ma quando una droga come la coca viene trattata come un vizietto che serve per stare un po’ su e che tutti i divi utilizzano, la cosa si normalizza e i risultati sono al bagno di una discoteca che fanno la fila. Sono vittime. Magari parlo come un prete ma la faccenda è così.
Domanda da vecchio trombone: non lo faccio più come prima, ma ancora mi guardo i video hip hop e… mi stranisco. Penso: le solite quattro zoccole che fanno il balletto, il solito chilo e mezzo di oro appeso al collo, i soliti gesti… poi mi dico… ma cosa vuoi dall’hip hop? È sempre stato ANCHE questo. È quell’”anche” che mi preoccupa… è vero che mai come oggi il rap si è moltiplicato e chiunque può trovare il rap che preferisce. È anche vero però che tutto sembra sempre più massificato, identico a se stesso, con tutti che usano gli stessi suoni e dicono sempre le stesse cose. Ora…sono io che sto giungendo al capolinea come credo, o non sono il solo ad avvertire questo strano disagio quando mi trovo di fronte a quella che è tuttora la mia ragione di vita?
Sai, molte volte mi sono chiesto come tu facessi a continuare per la tua strada, mantenendo il tuo approccio al rap ad un livello alto e che prende delle posizioni precise in mezzo ad un mutamento così evidente della tendenza nel fare hip hop. Evidentemente la tua passione è più forte delle mistificazioni. La musica ha sempre avuto i suoi periodi, e cambierà ancora in base ai costumi e alle nuove tecnologie. Fare il rap di per se è molto semplice se vuoi, ma un disco come quello dei Colle non lascia la stessa traccia nel tempo delle hit danzereccie di MTV. Questo è poco ma sicuro. E non cominciare a metterti le collane d’oro eh…!
Questo lo chiedo a tutti: l’hip hop, o il rap si è imposto in tutto il mondo come forte cultura. In tutto il mondo tranne che in Italia. Cos’è che non va con l’hip hop in Italia?
Non è un segreto che io abbia una profonda titubanza verso l’ambiente dell’hip hop italiano, che ha delle caratteristiche uniche nel suo genere e a tratti imbarazzanti. Si ostina a mantenere un linguaggio e un’estetica filoamericane che sinceramente in Italia suscitano solo ilarità e un po’ di compassione, e questo non è compatibile con la mia vita di oggi. Sembra un ambiente affetto dalla sindrome di Peter Pan, destinato a non volere uscire mai dalla sua cameretta. Ci vorrà qualche generazione ancora forse perché diventi parte del background culturale italiano, per ora è ancora una cosa nuova, presa da un’altra parte e adattata quì. E più viaggio e più mi rendo conto che Roma e Milano non sono Berlino e Lisbona, la multiculturalità e l’integrazione sono concetti ancora un po’ lontani e questo si riflette anche nella scena musicale. Siamo un paesino di furbetti arroganti dove i cantanti neomelodici strappalacrime riempiono gli stadi, non dimentichiamocelo. Caaaaarcere a vitaaaaaa….
Di seguito alcune delle opere di Luca Barcellona aka Bean One.