“Siamo costantemente messi alla prova”: Rame affronta il suo Esame di Vita

tempo di lettura: 4 minuti

Con il suo nuovo EP Esame di Vita, Rame firma un capitolo importante della sua evoluzione artistica e personale. Un lavoro intenso, carico di significato, che nasce da un lungo processo di autoanalisi e selezione, in cui ogni traccia diventa parte di un racconto coerente e profondo. In questo progetto spicca anche la prestigiosa collaborazione con Fabri Fibra nel brano In troppi film, una traccia dal forte sapore cinematografico che unisce generazioni e stili sotto il segno dell’autenticità. Rame – che ha recentemente abbandonato il nome Young Rame per segnare un passaggio di maturità – si racconta in questa intervista con sincerità e passione: riflette sul significato del titolo Esame di Vita, sulle sue influenze visive e musicali, sul legame con la Barona e sull’impatto della scena milanese nella sua formazione.

Esame di Vita è un titolo forte e carico di significato. Cosa ti ha spinto a dare questo nome al tuo nuovo EP?
Guarda, tutto è nato da un processo abbastanza lungo. Io sono molto prolifico, scrivo tanto e lavoro a tantissimi provini. A un certo punto, quando avevo già una quindicina di tracce, ho iniziato a scremare per dare una direzione precisa al progetto. Sapevo che volevo fare un EP con un concept forte, e quando ho selezionato i brani che poi sono finiti dentro, la parola che meglio li univa era proprio “esame di vita”. Perché in fondo è così: è un’auto-riflessione sul mio percorso, sui miei sogni, le difficoltà, i traguardi e anche i dubbi.

C’è un momento specifico nella tua vita che senti abbia rappresentato un vero e proprio esame di vita?
Direi quei momenti in cui ti guardi allo specchio e ti metti a fare davvero i conti con te stesso. Penso che tutti, prima o poi, ci passino. È qualcosa di quotidiano, dal momento in cui ti svegli a quando chiudi gli occhi la sera. Siamo costantemente messi alla prova dalla vita e da ciò che vogliamo ottenere.

Ascoltando l’EP si percepisce una forte atmosfera cinematografica, specialmente nel pezzo “In troppi film” dove hai collaborato con Fabri Fibra. C’è un film o un’immagine visiva che ti ha influenzato particolarmente?
Ce ne sono tanti, ma sicuramente Pulp Fiction di Tarantino ha avuto un grande impatto su di me. Amo i gangster movie, soprattutto quelli che parlano delle prime generazioni di italiani emigrati all’estero. Mi piace il modo in cui vestono, parlano, vivono. Anche a livello di immaginario visivo e musicale mi hanno ispirato. E poi Samuel L. Jackson per me è uno dei più grandi.

E com’è nata la collaborazione con Fabri Fibra?
Io con Fibra avevo già avuto un piccolo contatto in passato: lui mi aveva fatto un’intro in un mio vecchio progetto. Allora gli dissi: “Fabri, prima o poi mi piacerebbe fare un pezzo con te”. Quando ho scritto In troppi film, con quel concept forte legato al cinema, ho pensato: “Chi meglio di lui per spaccare su una base così old school?”. Gli ho mandato il pezzo e due giorni dopo avevo già la sua strofa. Per me è stato incredibile. Dimostra la passione vera: uno con il suo status poteva benissimo rifiutare, invece ha detto sì. E lo ringrazierò per sempre.

E oggi, c’è un artista con cui sogni ancora di collaborare?
Assolutamente sì. Mi piacerebbe lavorare con Luchè. Lo ascolto da quando ero piccolo, con i Co’Sang e poi da solista. Ha fatto pezzi che per me sono immortali. Veniamo da realtà diverse – io dalla Barona, lui da Napoli – ma alcune esperienze che racconta le ho vissute anch’io, a modo mio.

E la Barona, il tuo quartiere, che ruolo ha avuto nella tua formazione?
La Barona è casa. È un senso di appartenenza, come avere la maglietta della propria squadra. Cerco di essere presente anche per i più giovani, spronarli a fare qualcosa di positivo, che sia musica o scuola. Il quartiere ti forma, ti dà tanto, e io cerco di restituire il più possibile. Anche se un giorno avrò i soldi per comprarmi una villa, penso che rimarrò sempre qua, come ha fatto Marracash.

A proposito di radici: quanto ha influito la scena milanese, in particolare i Club Dogo, sulla tua crescita artistica?
Tantissimo. Io sono cresciuto con loro, erano i miei maestri inconsapevoli. Da ragazzino, ascoltandoli, ho capito cosa vuol dire scrivere testi che trasmettono davvero qualcosa. Però è difficile, perché loro hanno alzato l’asticella tantissimo. Ogni artista, però, dovrebbe puntare a superare i propri maestri, con rispetto ma con fame.

Cosa speri che le persone portino con sé dopo aver ascoltato Esame di Vita?
Vorrei che chi lo ascolta, soprattutto chi sta vivendo un momento difficile, si sentisse meno solo. E per chi ha sogni grandi, spero sia un incoraggiamento a non mollare, anche quando ti dicono che stai sprecando tempo. I sogni non pagano le bollette, certo, ma ti tengono vivo. Bisogna crederci, sempre.

Hai cambiato nome, da Young Rame a Rame. Cosa rappresenta questo passaggio?
È un’evoluzione. Young andava bene all’inizio, ma ora sentivo il bisogno di togliere quella parte, di far capire che c’è stato un cambiamento. Voglio essere più autentico, più maturo artisticamente. Il nome adesso rispecchia meglio la mia identità e il mio percorso.

Se potessi parlare al Rame di 12 anni fa, che faceva freestyle per strada, cosa gli diresti?
Gli direi: “Continua così, non ti fermare”. E magari anche: “Non perdere tempo con altre cose, concentrati solo sulla musica”. All’epoca non mi sarei mai aspettato di arrivare dove sono oggi: collaborazioni con artisti che ascoltavo da piccolo, firmare un contratto discografico, avere Gué Pequeno come executive producer. Sto vivendo un sogno, e spero che anche il me di 35 anni possa dire lo stesso.

Previous Story

Yamba – Roma, rap e realtà: il nuovo album è Ready