Facciamo finta di ricomporre un foglio usurato e strappato. La carta è sgualcita, l’inchiostro è sbiadito, ma con pazienza ed attenzione si riesce a capire qualche parola. Si tratta di un carcere minorile. Quale di preciso non importa un granché alla fine.
Lì il rap è all’ordine del giorno. Tutti lo amano, tutti rappano.
Un ragazzino di sedici anni, dall’aspetto duro e freddo, rappa una strofa, al cui interno s’apprende:
“Mi chiedo perchè a sedici anni, mi chiedo perchè sono qui dietro alle sbarre, mi chiedo perchè solo ora mi domando queste cose”.
“Io non scrivo le strofe, le invento, le memorizzo e le rappo” dice un altro.
Un altro ancora, con forti disturbi psichiatrici, rappa ritornando sempre sulla stessa scena: lui che discute con il direttore del carcere sul perchè sia costretto a stare lì dentro.