“Benvenuti nel mio regno”, la recensione

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La mia connaturata fiducia (a volte mal riposta) nell’universo hip hop femminile italiano trova nuovi impulsi nell’esordio ufficiale di Regina, voce toscana non nuova agli addetti ai lavori più attenti, come testimoniano diverse apparizioni trascorse sotto forma di featuring e singoli. “Benvenuti nel mio regno”, licenziato per la Trb Records, è la chiave di ingresso per introdurci nel suo universo, fatto di cose semplici e profonde, stati d’animo spesso in contrapposizione fra di loro. Tralasciando il pur apprezzabile scopo di denuncia che permea quasi tutte le dieci tracce del disco (a proposito, un plauso per non aver esagerato in minutaggio) si apprezza maggiormente la voglia di raccontarsi senza troppi fraintendimenti e senza l’obbligo di indossare una maschera, evitando etichette e condizioni formali. Naturalmente l’arte come espressione autentica della vita è un obiettivo ambizioso, e qui siamo ancora lontani dall’ottenerlo, ma evitare personaggi stereotipati può e deve essere già un buon punto di partenza. J Silver cura tutte le produzioni dell’album (ad esclusione di “Un giorno che nasce”, beat ad opera di Ale Dha Boss) cercando di diversificarle e strutturarle secondo le esigenze del brano, e ci riesce con notevole professionalità, creando tappeti musicali eterogenei intrisi di funk e jazz con qualche concessione all’elettronica. La sentita “Ape operaia” apre il disco ed è probabilmente l’episodio riuscito meglio, accompagnato anche da un video efficace, mentre altri pezzi significativi sono la rabbiosa “Vaticano Spa”, storia di un connubio soldi-religione di “reportiana”memoria, e l’unico pezzo dove si parla apertamente di amore, “Un giorno che nasce” con il contributo decisivo della voce soul per eccellenza, Al Castellana. Non entusiasmano invece i brani più autocelebrativi, come ad esempio “Una vita di club e feste” dove affiorano gli stereotipi cui poco prima accennavamo, uniti a certe imperfezioni nell’esposizione ed un flow ancora non troppo maturo.  In definitiva una buona opera prima, ma che suona ancora poco fluida nell’insieme.

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