a cura di Luca Psycho Mich
La musica gira. A volte fisica su formati disparati, altre invisibile tramite pure frequenze, come dalle casse di un soundsystem durante un live in cui non si capisce bene quale sia il supporto che la produce, quali siano i mezzi grazie ai quali si diffonde. La musica può essere ovunque in mille forme nello stesso momento.
Di recente ho assistito all’immenso e super organizzato Splash Festival, il raduno più grande d’Europa di musica hiphop in tutte le sue accezioni, dalle più hardcore e grezze alle sue evoluzioni più contaminate ed elettroniche. 4 palchi, 4 macro categorie sotto le quali raggruppare i diversi stili nel fare hiphop. Line up di oltre 50 artisti tra i quali: Wu Tang Clan, Antipop Consortium, Large Professor, Jachoozy, Dorian Concept, Missy Elliot, Hudson Mohwake, Guilty Simpson, Nas, Damian Marley. Una cornice surreale: da una parte il verde incantato della Sassonia e dall’altra un muro di macchinari in disuso alti 30 metri e pesanti 1300 tonnellate, modello transformers, utilizzati negli anni 60 per scavare siti minerari e cave saline. Quanto di più street accanto a quanto di più montano e outdoor. 2 mondi a confronto, un pancrazio in cui si incontrano mille stili, mille facce (stimate 100.000 persone), mille colori.
Quanto di più difficile da immaginare per un italiano abituato a mega concerti di vasco rossi o rave techno con artisti impasticcati quanto il loro pubblico. Il tutto realizzato con una estrema cura per i dettagli: dal campeggio gratuito aperto a tutti 24 su 24, all’attenzione all’immagine, a che tutto fosse coordinato e presentato con i colori, i font, gli stilemi del festival. Una cosa ben fatta insomma. E la musica ha ringraziato. Era presente sotto forma di dischi tra le bancarelle, sotto forma di artisti intenti ad ascoltare ed ascoltarsi (gli Jachoozi che seguono con devozione tra il pubblico gli Antipop consortium è una delle immagini che porterò con me nel mio personalissimo dizionario sotto alla voce umiltà e rispetto), e ancora sotto forma di strumenti con Gentleman e Damian Marley ed il loro reggae per l’Africa. Era presente sotto forma di parole, tante, grazie a MC di livello superiore in grado di rendere quanto di più funky hiphop e quanto di più hiphop funky. Magia.
Oltre a delle orecchie malandate, porto a casa molto da questo festival, su tutto una ritrovata armonia con la scena dei supporter della musica che amo, e ancora un maggior rispetto di quello che avevo prima per artisti amati comunque da sempre. Bello vederli esprimersi genuini, dare il meglio come in un loro concerto da solisti, sputare rime e note come se non ci fosse un domani, sentendosi forse pure loro parte di qualcosa di grande, di un evento capace di riunire in un paese sperduto della Germania dell’est, migliaia di persone con la voglia di ascoltare musica estremamente underground e, di riflesso, estremamente genuina.