Biscuits: l’intervista!

tempo di lettura: 9 minuti

a cura di Nicola Pirozzi

I Biscuits: una ricetta semplice e gustosa, figlia della tradizione napoletana, poi esportata  a Milano. Hip hop con una manciata di funk, un pizzico di pop ed una spolverata di elettronica: il retrogusto old school si mescola con la freschezza di un sapore innovativo, nuovo. Biscuits nasce dall’unione di Granstà MSV, Red-Dyna e Tripla: da Napoli a Milano, sfiorando Londra, nasce un disco che mette l’esperienza al servizio di un rap frizzante. Anticipato da due videoclip, “Exit” e “Fortapàsc”, che riassumono in pillole lo spirito del gruppo, orientato a suoni mai banali e mai dimentichi delle proprie radici partenopee. Andiamo a conoscere i Biscuits!

++ Salve ragazzi! Partiamo velocemente con un accenno biografico: tre napoletani si incontrano, grazie alle rispettive esigenze lavorative, a Milano. Nasce così il trio Biscuits: com’è nata la sinergia tra le parti?

Tutto è nato grazie alla nostra amicizia e l’esigenza di trovare uno spiraglio di liberazione attraverso la nostra creatività. Il tutto è sempre stato basato sul confronto e sulla ricerca di linguaggi e ispirazioni che calzassero con le nostre tre personalità comunque molto diverse. Con i BISCUITS quindi abbiamo scelto di vivercela con libertà attraverso un’esperienza che ci ha portato da Napoli a Londra passando per Milano. Uno spaccato di vita e non semplicemente una serie di brani circoscritti in una sonorità.

++ Sfogliando i commenti ad uno dei vostri video, su Youtube, leggevo qualcosa come “il rap napoletano con i mezzi di Milano”. Voi che avete potuto assaporare le capacità, diciamo così, strutturali di Milano e Napoli, sapete spiegarci quanta differenze intercorre tra le due realtà?

Napoli e Milano sono due città molto diverse. Napoli insegna che la vita è fatta di piaceri e quei sacrifici per tutelare i propri spazi (purtroppo individuali) prima di tutto. Milano insegna al contrario che la vita è fatta di carriera professionale, lavoro, lavoro, ma anche la facilità nel tutelare gli spazi con un senso civico che poi alla fine si rivela solo una facciata. Un po’ come dire che a Napoli contano capacità personali e rispetto, a Milano contano formalità e posizione sociale. Milano però ha un senso d’ordine, pure fastidioso talvolta, mentre Napoli ha caos, senso di disordine talvolta pure piacevole. La frase infatti, commento al videoclip di EXIT, recita ““la creatività di Napoli con i mezzi di Milano”, il che è giusto. Ma quello che realmente offre Milano è la possibilità appunto di ordinare, conoscere, strutturare i pensieri. Non sono tanto i mezzi in se, ma la capacità di gestire i mezzi, ottimizzare le risorse, in qualche modo ti offre ragione di causa nello sviluppo dei progetti. Se metti l’arte di arrangiarsi in un contesto ben strutturato beh è il massimo delle possibilità…Il talento però è un altra cosa e quello sarà sempre la chiave per fare la differenza in qualsiasi contesto.

++ Non è un caso che il vostro primo singolo parli di “cose napoletane”,  prendendo il nome dal bel film di Marco Risi, “Fortapàsc”. Con tanto di sfuggente video, pone l’attenzione su un tema scottante che nella maggior parte dei casi si preferisce non trattare, in ambito rap. Cosa può la parola di un musicista di fronte a tutto questo?

La parola di un musicista è un punto di vista, uno spunto di riflessione, un messaggio che viene trasmesso attraverso la tridimensionalità delle emozioni. Abbiamo scelto di fare un tributo alla vita e al coraggio attraverso la storia di Giancarlo Siani, ponendo l’accento sulla possibilità di scegliere la dignità anziché l’inganno. Scegliere il rispetto anziché l’opportunismo. Il rap è messaggio, il rap deve essere anche onestà, molto spesso invece si vede solo una maschera che si indossa per diventare “cattivi”.  Molto facile dire di rappresentare le strade, ostentare l’irriverenza, l’abbondanza, la violenza. Molto difficile essere credibili. Ancora più difficile rappresentare le strade, rispettare le strade, ma assumendosi delle responsabilità.

++ L’album d’esordio della formazione si contraddistingue per la ricerca di un’alternativa, non fossilizzandosi su un concetto di rap classico, ma cercando misture col funk, l’elettronica e, perché no, il pop. È questa secondo voi la via d’uscita che deve intraprendere l’hip hop per rinnovarsi?

Non necessariamente deve rinnovarsi l’HipHop perché è per sua natura sempre in continua mutazione. L’HipHop è qualcosa di molto più vasto. Noi abbiamo scelto di fare la nostra musica, acustica, elettronica, rock, classica in certi casi, fondendo stili e sonorità, tenendo sempre l’HipHop come punto di riferimento. Come dicono i The Roots “it’s about the next level”. HipHop è contraddistinguersi, farsi spazio nella folla, ricercare il sound… Ci si poteva limitare a mettere il semplice sample o fare andare un loop 808 ed ok. Ma abbiamo voluto fare qualcosa che fosse davvero emozionante e con la fortuna di lavorare a contatto con tanti professionisti del suono, la possibilità di avere intorno grandi musicisti, beh abbiamo scelto di vivere un esperienza molto più edificante.

++ Rimanendo in tema, mi preme sottolineare che il disco non risenta esclusivamente dell’influenza partenopea a livello musicale, ma assorbe anche lo stile metropolitano di Milano e Londra. In effetti, quanto il luogo dove vi trovate a scrivere, a pensare musica, influenza il tutto?

Il luogo e il tempo influenzano anche involontariamente. Ma a livello razionale basta dirti che alcuni brani non sono stati più inseriti nell’album proprio perché legati a luoghi e tempi che non sentivamo più potessero rappresentarci. I BISCUITS esistono grazie a tutte le influenze e le esperienze vissute nei diversi luoghi dove siamo passati, questo è proprio un aspetto fondamentale del progetto.

++ Una domanda per ognuno di voi. Partiamo con Granstà MSV, old schooler, tuttofare, uno dei fondatori della storica Puazze Crew: da quasi 30 anni nella scena, hai vissuto gli inizi, hai condiviso il palco con molti artisti e stai respirando anche le nuove tendenze dell’hip hop italiano. Chi meglio di te può riassumerci i cambiamenti, l’evoluzione o l’involuzione, lo spirito che hanno caratterizzato la scena dal giorno uno?

Wow, sono già 30 anni?!? …scherzo, si ho vissuto tutte le fasi di questa cultura dai primi anni ’80 ad oggi, anche se mi sento sempre “new” con l’HipHop, fresco e alla ricerca di innovazione. Beh, la situazione generale è controversa. Credo che parlare di scena italiana sia un eufemismo e forse ancora non è stato superato il giorno uno.  Gli anni ’90 avevano una sorta di scena ahimè fragile infatti poi si è auto-distrutta. Esistono tante micro-scene secondo me in Italia, nicchie. Parlando invece di processi culturali a livello più ampio e dovendo generalizzare, io credo che mentre inizia ad essere considerato il genere musicale HipHop, allo stesso tempo l’Italia non è ancora capace di interiorizzare questa cultura, lo dimostra il fatto che solo pochi artisti trovano reale spazio mediatico in Italia. Saranno diverse le ragioni, ma non voglio andare sul piano artistico o far critiche… Credo che alcuni di noi si siano sbattuti per cercare di portare il paese dei cantautori, dei soliti finti valori e delle marchette, verso qualcosa di più impulsivo, ruvido, diretto come è appunto la nostra amata cultura, ma senza ottenere risultati soddisfacenti e ancora non ci viene riconosciuta la credibilità che spetterebbe. Oggi c’è quantità, tanti giovani che usano i modi dell’HipHop, ma quasi come una disgrazia, privi di conoscenza e troppo influenzati da qualunquismo commerciale, dal sistema mediatico sempre più falsato e dall’America che pare ne stia dimenticando i presupposti. Questa generazione “hiphop” sembra si diverta a farlo senza classe mettendo quelle quattro rime in croce o impazzando a power-moves sgraziate… Lo spirito dell’HipHop è l’abbattimento dei propri limiti, sviluppo tecnico, approfondimento, amplificazione della personalità, ma qualcosa sembra sia andato perso, almeno da parte di chi si ostina a dichiararsi vero HipHop… Ho però dall’altra parte la concezione di una cultura HipHop che nasce bastarda e più si contamina più cresce, e questa immensità o infinita possibilità d’evolversi genera fenomeni che per molti si allontanano dallo spirito originario, vedi electroHop e danze affini, glitchHop, dubStep, (etc, etc,)… in tutte le discipline c’è una stratificazione generazionale e secondo me questo invece è proprio lo spirito originario dell’HipHop cioè fondere componenti aggredendole con la cultura creativa e ri-costruttiva della strada, accentuare la capacità individuale per fare la differenza. Da questo punto di vista credo che la visione sia positiva. in sostanza mi sento di dire che quelli che si proclamano guardiani della somma verità probabilmente stanno facendo meno HipHop di chi invece cerca una propria direzione allontanandosi dall’etichetta , dallo stereotipo, dal cliché.

Il discorso è lungo e complesso, ma per chiudere ci tengo a dire prima di tutto che ci deve essere il talento, le skillz, poi che ognuno scelga la propria identità artistica o musicale, basta che lo faccia onestamente sennò sei poco credibile e la puzza si sente da lontano, in questo strano scenario apocalittico alle probabili porte della fine del mondo 🙂

++ Dyna, sei una delle poche superstiti female mc italiane. In un genere, purtroppo, molto spesso maschilista, cosa rappresenta per te far parte del movimento Hip Hop Sisters, di base a New York? Quali sono gli intenti che muovono questo complesso?

Si è vero, nel nostro BelPaese è difficile che le ragazze scelgano di fare rap, forse perché è un genere che viene deformato dai media come maschilista e privo di contenuti e quindi credo risulti incompatibile con l’educazione che mediamente viene trasmessa.

Io ho avuto la fortuna di condividere per strada con altri la passione per il rap ma anche per le altre arti dell’HH, mi sono avvicinata a questa cultura, poi ho approfondito ascoltando, guardando video, viaggiando, crescendo… Se conosci da dentro i meccanismi alla base di tutto il movimento, in seguito riesci a capire se davvero è la tua predisposizione e se vale la pena di continuare. Inoltre può sembrare banale, ma essere nata a Napoli credo mi aiuti a vivere il lato mc della mia personalità, perché c’è una grossa assonanza tra essere donna dell’HipHop e vivere la dialettica, gli atteggiamenti e la gestualità dell’essere donna partenopea.

Per quanto riguarda le HH Sisters, ne faccio parte dal 2007, il primo contatto ci fu su Myspace dove conobbi in primis Mecca, in seguito Mc Lyte e le altre responsabili mi invitarono a prenderne parte, così fui fiera di essere la prima Mc italiana. Da allora ho conosciuto meglio gli altri membri, sono stata a New York, ho incontrato altre Sorelle e coordinatrici, vivendo una bella esperienza. Il fare parte delle HH sisters per me vuol dire partecipare ad un movimento internazionale istituito da una delle più grandi Mc di tutti i tempi, Mc Lyte appunto. Il confronto mi permette una crescita sia personale che artistica, inoltre il concetto di “sisterhood” nell’HH va alle origini della stessa cultura, si sodalizza tra donne per affinità, non per fare le femministe ma per cambiare insieme il modo in cui le donne sono spesso considerate nella società, come dice la stessa Mc Lyte “Ci sono troppe immagini negative sulle donne e l’HipHop, queste possono influenzare le giovani generazioni”.  Chiuderei con il claim dell Hip Hop sisters: “Women promoting positivity and encouraging personal growth through Hip Hop”.

++ Tripla lavora come speaker per Radio Deejay: negli ultimi anni l’interesse verso il movimento hip hop, in radio e in tv, è notevolmente aumentato, con programmi interamente dedicati al rap e clip in rotazione continua. Come si vive da dentro la situazione, questo rinnovata attenzione?

Il numero di passaggi di brani e videoclip è certamente aumentato, è vero che ci sono programmi dedicati alla musica HipHop, è anche vero però che molti progetti faticano ancora a trovare spazio. Purtroppo le logiche del mercato dettano le scelte, poi ci sono le logiche “degli amici e quelle degli amici degli amici”, questo è un problema, perché se non stai dentro a certi network hai molte meno possibilità che un tuo pezzo passi. Al tempo stesso c’è chi ancora ha voglia di fare una sorta di scouting e ricerca di cose nuove e interessanti.  Onestamente da ascoltatore non solo di musica HipHop, devo dire che non ci sono così tanti prodotti validi in giro al momento.

Oggi la promozione di un artista o di un disco passa attraverso logiche nuove, per certi versi ancora inesplorate, il cd fisicamente è per molti sempre più solo un gadget, un veicolo per arrivare in mille altre forme alla gente. Noi facciamo molti dj-set con brand che non si occupano direttamente di musica ma che si riconoscono in un linguaggio musicale e in qualche modo lo supportano. Ci sono anche le scelte dei singoli artisti, a noi non interessa stare in un unico circuito, magari quello più strettamente HipHop, ma pensare che BISCUITS sia più un “progetto di comunicazione” e come tale va pensato e promosso, c’è molta attenzione per l’elemento virale della comunicazione sia sul web sia su canali più tradizionali.

++ È arrivato il momento dei saluti. Ringraziandovi, vi lasciamo spazio libero!

Grazie a Moodmagazine per l’intervista e per il contributo culturale che rende come rivista di settore. Grazie a tutti quelli che ci supportano, ci sostengono e grazie ai molti che hanno scelto di acquistare l’album originale dei BISCUITS contribuendo così a sostenere la buona musica indipendente italiana.

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